martedì 14 giugno 2016
PLACIDO, «La realtà non è solo male»
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Il professor Marco Terzi torna dai suoi ragazzi. Poco importa se il carcere minorile non è quello di Palermo dove Marco Risi girò nel 1989 il dolente Mary per sempre, ma quello di Nisida, nei pressi di Napoli. Per Michele Placido, oggi, l’incontro con quei ragazzi «è una gioia, mi dà una grande carica, perché siamo nella verità, certe realtà anche negli aspetti più difficili appartengono alla vita». L’attore e regista racconta ad “Avvenire” l’anteprima del Napoli Teatro Festival (domani al via la nona edizione) proprio all’interno del carcere, dove stasera interpreterà Prospero ne La tempesta di Shakespeare nella traduzione napoletana di Eduardo insieme ai giovani attori formatisi nel laboratorio teatrale dell’istituto, che vide proprio in De Filippo un grande sostenitore. Strana coincidenza, stasera si conclude su Sky Atlantic la seconda serie di Gomorrapronta per la terza stagione, un successo al centro di molte critiche per il fatto di rappresentare una sola faccia della medaglia della camorra, quella del male senza speranza. Placido, mentre lei reciterà con i ragazzi che vogliono uscire dal mondo della criminalità, in televisione apparirà un altro modello di gioventù. «Guardi, non che Gomorra non sia un bel prodotto, gli attori sono bravi, la regia efficace e la fotografia è molto bella. Di fronte abbiamo La tempesta, dove i cattivi sono proprio cattivi, ma Shakespeare, che è un genio, oppone alla cattiveria la trascendenza mistico-religiosa del protagonista Prospero. In Gomorra invece non ci si oppone al male. Mi piacerebbe che nella scrittura della prossima serie Saviano e gli sceneggiatori apportassero una correzione, mettessero se non un contraltare almeno la figura di un poliziotto, di un prete. Me lo dicono anche i tassisti di Napoli... Non è per una questione etico morale, ma di realismo. Lo Stato non brillerà per la sua presenza ovunque, ma qualche commissario coscienzioso ci sarà pure. Se non si tiene conto di questo, è un negare lo Stato al cento per cento. Anche a Scampia ci sono tante persone perbene, insegnanti, religiosi, gente comune». Perché rifiutò i diritti per girare un film da Gomorra? «Sottovalutai il fenomeno Saviano. Un assistente di Albertazzi mi disse che un ragazzo gli aveva mandato gli appunti di un romanzo che non era ancora uscito. Si trattava di Gomorra. Io non ebbi il tempo materiale di studiarlo. Quando poi uscì il film di Garrone ne rimasi affascinato. Ma ripeto, stimo Saviano e proprio per questo credo che debba dare una possibilità nella serie anche a personaggi positivi». Lei dovrà affrontare una sfida simile alla regia della prima serie italiana originale di Netflix, Suburra, ispirata a mafia capitale. Il film di Sollima era piuttosto cupo... «Sto per iniziare le riprese, la serie uscirà nel 2017 e in qualche modo ricorderà il mio film Romanzo criminale sulla banda della Magliana, sempre basato su un romanzo di Giancarlo De Cataldo. Ma questa gente spesso è colta dai rimorsi, non sono tutti spietati. I protagonisti di questo “prequel” saranno tre ragazzi sottomessi a dei genitori che gli insegnano solo a fare soldi. L’obiettivo sarà puntato su giovani inesperti che non sanno come muoversi in questo mondo. Comunque il passo sara diverso rispetto a Gomorra ». Anche il suo Romanzo criminalesubì critiche perché i suoi criminali erano troppo affascinanti. «Nel film c’era Kim Rossi Stuart che a un certo punto si innamorava di una ragazza colta, mostrava una sua sensibilità ed era tormentato da grandi rimorsi. Basta poco per fare la differenza, per mostrare la lotta che c’è fra bene e male. Specie per i giovani. I ragazzi sono i piu deboli, occorre mostrare loro il dovere di reagire». Anche ai ragazzi di Nisida? «Certo, questa Tempesta è una lezione di vita. Insegna che occorre reagire alle tempeste della nostra esistenza. Questa è la grande lezione di Shakespeare, ma anche di grandi registi come il Rosi de Le mani sulla città e Salvatore Giuliano, che denunciava la malapolitica approfittatrice dell’ingenuità della gente. Ma dovere dello spettacolo è lasciare sempre un barlume di speranza. Anche in Amleto, Macbeth e Re Lear, pur nella più cupa tragedia alla fine arriva un giovane che riscatta la cattiva gestione del potere dei padri». Vede esempi anche nella vita reale? «Innanzitutto papa Francesco, che sta dando una bella lezione ai politici. Ci sono stati alcuni grandi come Pertini e Moro, ma devo ammettere che la Chiesa, a prescindere dalle questioni di fede, ha avuto grandi maestri di vita, come Giovanni XXIII o Giovanni Paolo II». Anche lei, comunque, ha scelto di essere un regista sociale. «Credo che occorra essere attuali. Ho appena finito di girare il film 7 minuti dal lavoro teatrale di Stefano Massini con Ottavia Piccolo, sulla storia vera di un gruppo di operaie che difende la dignità del proprio lavoro, mentre a fine settembre debutterò a Solomeo per lo Stabile dell’Umbria con la regia de L’ora di ricevimento, sempre di Massini, ambientato in una banlieuefrancese dove un professore, Fabrizio Bentivoglio, dovrà mediare con culture e religioni diverse». Un’ultima domanda inevitabile. Lei per milioni di spettatori in tutto il mondo resta nel cuore come il Commissario Cattani della Piovra. Come mai?  «Perché la gente, vedendolo, pensava che al di là del malaffare ci fosse qualcuno disposto a sacrificare la carriera, la famiglia, la vita per il bene comune. Io accomuno Cattani al Giorgio Ambrosoli che ho raccontato in Un eroe borghese, un eroe vero, come lo sono stati Falcone e Borsellino. Anche se solo per fiction, Cattani è stato uno di loro».
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