venerdì 15 marzo 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
«Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa (che significa Pietro)"». Questo versetto e il precedente del Vangelo di Giovanni, nei quali l’Evangelista prefigura il primato petrino, sarebbero il vero soggetto del quadro da alcuni storici dell’arte attribuito a Caravaggio che oggi è denominato La vocazione di Pietro e Andrea, in quanto si ritiene ispirato ai passi evangelici dei Sinottici relativi all’incontro tra Gesù e i primi apostoli sul lago di Genezareth. Lo dimostra un nuovo, approfondito, studio di don Lorenzo Cappelletti, professore di Iconografia presso la Pontificia Università Antonianum, per la rivista “Arte Cristiana”, che sarà pubblicato nei prossimi mesi. L’ipotesi avanzata da Cappelletti potrebbe sembrare una questione marginale, la correzione di un fraintendimento che non cambia la sostanza dell’iconografia e dell’attribuzione di questa importante tela appartenente alla Corona inglese fin dai primi anni del XVII secolo e oggi conservata ad Hampton Court. Ma non è così: il cambiamento dell’iconografia (il quadro secondo Cappelletti rappresenterebbe La vocazione e l’imposizione del nome di Pietro a Simone) introduce a una nuova esegesi e permette nuove ipotesi storiche sui motivi per i quali quest’opera entrò a far parte della collezione dei reali d’Inghilterra. Per Cappelletti, infatti, la finale acquisizione della tela nel 1637 da parte di re Carlo I, per il tramite del cattolico William Frizell, potrebbe non essere estranea al soggetto rappresentato, ovvero al primato di Pietro. Soggetto che fu volutamente camuffato o frainteso, per permettere a Carlo I di possedere il quadro, senza essere accusato di essere segretamente cattolico. Per Cappelletti, dunque, l’iconografia scelta non sarebbe la chiamata secondo i Vangeli sinottici, come ha stabilito Roberto Longhi nel 1951, dopo che si era passati dai “Tre discepoli” delle fonti più antiche, ai “Tre pescatori”" o ai “Tre Apostoli”, fino ai “Pellegrini di Emmaus” di molta critica novecentesca. Per Longhi il soggetto del quadro atteneva a quell’attimo in cui i due fratelli Pietro e Andrea, travolti dalla chiamata di Gesù Cristo, hanno appena lasciato le reti per seguirlo. E questa attribuzione del soggetto oggi è data per acquisita, tanto che Maurizio Marini, nella pubblicazione che accompagnava la mostra romana «Caravaggio. Capolavori nelle collezioni private» ha indicato i brani biblici di riferimento: Matteo (4,18-20), Marco (1,16-18) e Luca (6,14). Ma, come emerge nel nuovo studio di Cappelletti, c’è ancora spazio per ridiscutere il soggetto. Nei Sinottici, infatti, la scena della chiamata dei primi discepoli avviene nel contesto di un’attività di pesca, mentre nel quadro attribuito a Caravaggio nulla ci indica che i personaggi stanno svolgendo attività connesse alla pesca, non ci sono in particolare né reti né barche. Altro punto analizzato da Cappelletti sono i due pesci che Simon Pietro porta con la mano destra: per Cappelletti, oltre a identificare il Principe degli apostoli, potrebbero proprio indirizzare al suo nuovo nome di Pietro se uno di essi, come sembra (in quel punto il quadro è difficilmente decifrabile), è un pesce San Pietro.Ma l’argomento più importante è il complesso movimento delle mani dei personaggi raffigurati, che, come sempre, esprime un movimento dell’animo e spesso la parola. Questi movimenti non corrispondono al dialogo tra Gesù e gli apostoli sul lago di Genezareth, come narrato nei Sinottici. Ciò che lo esclude è soprattutto che, in nessuno dei tre Sinottici, Andrea è detto esprimere alcunché, mentre nella tela attribuita a Caravaggio il gesto più interessante della mano è proprio quello di Andrea, che, dopo aver condotto il fratello da Gesù, glielo sta presentando. La mano sinistra di Andrea è come se dicesse a Gesù: «Ecco mio fratello!». Probabilmente, in origine, la mano era interamente stesa sul petto di Andrea ad indicare ancor più chiaramente la garanzia offerta da Andrea per il fratello Simone. E alla presentazione fatta da Andrea corrisponde il volgersi di Gesù verso Simone. Soltanto nel Vangelo di Giovanni si dice che Gesù, come in questa tela, «fissando lo sguardo» su Simone gli disse: «Tu sei Simone il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa (che significa Pietro)» (Gv 1,42). Il gesto della mano destra di Gesù, sembra voler indicare le parole con cui egli stesso sta in quel momento mutando il nome di Simone in Pietro. Niente di più attuale verrebbe voglia di dire!Come sappiamo il Vangelo di Matteo pone più avanti, al momento cruciale della confessione di fede di Simone, l’imposizione del nome di Pietro e la cosiddetta Consegna delle chiavi (tema dell’opera famosissima di Perugino nella Sistina su cui Cappelletti sta per pubblicare un altro studio), ma è chiaro che anche nel Vangelo di Giovanni, seppure in un contesto meno solenne e senza l’esplicitazione del suo significato, l’imposizione del nome di Pietro mantiene lo stesso valore di fondazione della Chiesa sulla roccia petrina. Proprio questa modalità più sfumata di rappresentazione dell’autorità petrina – addirittura irriconoscibile a prima vista, tanto che l’iconografia di questa tela fin dall’inizio è stata equivocata, o addirittura camuffata – può aver valso l’ingresso e la permanenza di essa nella Royal Collection all’epoca di Carlo I Stuart, il re che nel 1649 fu condannato a morte al termine della guerra civile inglese e che oggi è venerato come santo dalla Chiesa Anglicana. Il suo fu un regno caratterizzato dalla costante necessità di fugare, sia all’interno che all’esterno della corte, i sospetti di un suo eventuale favore per la fede cattolica.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: