venerdì 23 settembre 2011
Esce lo spettacolare film diretto da Rupert Wyatt con protagonista un primate fedelmente interpretato dall’attore inglese Andy Serkis: «È più difficile che mostrare il proprio volto. Qui devi arrivare al cuore»
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Il suo viso non vi è noto, eppure l’avete visto e amato moltissimo. Anche il suo nome, Andy Serkis, vi dirà poco. Eppure il quarantasettenne attore inglese è stato l’ultimo King Kong, quello di Peter Jackson, il meraviglioso Gollum ne Il signore degli anelli e ora è l’intelligentissimo primate Caesar in L’alba del pianeta delle scimmie, diretto da Rupert Wyatt, in uscita oggi. In attesa di farsi scoprire nella pelle del Capitano Haddock nel Tintin - Il segreto dell’unicorno diretto da Steven Spielberg (dal 28 ottobre nelle sale). Il motivo per cui non lo vediamo è che Serkis è spesso interprete di personaggi realizzati con la tecnica della motion capture, quella utilizzata per la prima volta da Zemekis in Polar Express e perfezionata da Cameron con Avatar. «Gli attori – spiega Andy – indossano tute dotate di sensori che registrano movimenti ed espressioni facciali sul computer trasferendoli poi ai personaggi. Il regista che segue l’azione sul monitor li vede già inseriti in quel mondo, reale o virtuale, che poi apparirà sullo schermo». Ma chi pensa che questo voglia dire la morte dell’attore, schiacciato dagli effetti speciali, si sbaglia di grosso. «Al contrario – continua Serkis – questa nuova tecnologia ci regala molte opportunità e ci mette davvero in contatto con il cuore dei nostri personaggi. La recitazione va di pari passo con lo sviluppo della sceneggiatura. Pensate ai bambini che nella loro stanza giocano a far finta di essere qualcuno altro, in altri luoghi. Io sono come loro: posso far finta non solo di essere un’altra persona, ma anche una scimmia, un cartone animato, un mostriciattolo. Riuscite a immaginare qualcosa di più gratificante per un attore?».Forse però non tutte le star sarebbero disposte a rinunciare alla propria vanità e vedersi trasformare in qualcosa di completamente diverso. E un Oscar per questo tipo di performance non è stato ancora inventato, anche se Andy rischia di vincerlo nei panni dello scimpanzè Caesar. «Mia moglie e i miei figli riconoscono nelle creature sullo schermo i miei gesti, le mie espressioni, i miei sguardi. Persino il mio carattere! Il risultato è molto fedele alla performance e c’è qualcosa di me in ogni personaggio che interpreto. Per L’alba del pianeta delle scimmie ho studiato per mesi i movimenti e l’andatura dei primati. Anch’io come Caesar sono cresciuto con un padre lontano e mi sono sentito un outsider. Per Tintin ho imparato a tirare di scherma. Capitan Haddock è un personaggio straordinario, e io sono andato in profondità nel suo passato che ancora gli pesa addosso. E con il Gollum che torno a interpretare in The Hobbit di Peter Jackson ho scavato nel lato più oscuro della mia personalità». Nonostante non ci sia differenza tra la recitazione motion capture e quella tradizionale, Serkis precisa: «La tecnologia è molto sensibile, bisogna imparare a controllare movimenti ed espressioni, senza enfatizzarli. Quello che conta è arrivare all’essenza, al cuore emotivo di colui che stai per diventare»
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