martedì 4 agosto 2009
A quasi un secolo dalla sua apertura, il canale che mette in comunicazione Atlantico e Pacifico s’adegua alle supernavi d’oggi
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Entro il 2014, tra 5 anni, il canale di Panama cambierà volto, e non si tratterà di un semplice lifting : dimensioni e potenzialità saranno adeguate ai canoni della navigazione moderna. Ad un secolo dall’apertura (i lavori terminarono il 13 agosto 1914, ma l’inaugurazione ufficiale fu rinviata al 1920 a causa della Grande guerra) lungo la via d’acqua tra l’Atlantico e il Pacifico, ridisegnata ed ampliata, transiteranno navi fino a 366 metri di lunghezza e quasi 50 di larghezza. I limiti attuali sono rispettivamente di 294 e di 32 metri, mentre anche il pescaggio (la profondità del fondale) verrà portato da 12 a 15 metri. Fra cinque anni dunque avranno via libera colossi capaci di trasportare fino a dodicimila container, giganti del mare ora costretti a doppiare Capo Horn. Parlerà anche italiano il nuovo canale vitale per i traffici marittimi mondiali in epoca di globalizzazione: l’Impregilo è partner al 48% del consorzio Grupo Unido por el Canal, il cui progetto si è imposto su quelli della concorrenza. In ballo c’è un business da 3,22 miliardi di dollari. Per rifare le chiuse di Gatún, Pedro Miguel e Miraflores che permettono di superare gli 82 metri di altezza dello spartiacque tra i due oceani lavoreranno seimila addetti. La storia del canale di Panama affonda la radici nel disegno vagheggiato dagli spagnoli fin dal XVI secolo di realizzare un passaggio verso il Pacifico, allora chiamato genericamente Mare del Sud. Fu Núñez de Balboa il primo europeo ad affacciarsi sulle sue rive nel 1513, e Balboa è oggi una città a ridosso delle chiuse di Miraflores. Ma fu una compagnia francese guidata da Ferdinand de Lesseps, artefice del canale di Suez, a dare il primo colpo di piccone nel 1879, d’accordo con le autorità della Colombia, cui allora apparteneva l’istmo. La malaria e la febbre gialla che provocarono oltre 22 mila morti tra gli addetti allo scavo bloccarono i lavori che si rilevavano assai più onerosi del previsto, mentre in Francia uno scandalo finanziario coinvolgeva la compagnia e poneva le premesse per il declino della Terza Repubblica. I creditori salvarono dal disastro solo i macchinari e la concessione del governo colombiano. Lesseps fu condannato nel 1893 per corruzione e malversazione. Sembrava finita lì, ma la consapevolezza della necessità di rendere agevole il passaggio delle navi tra i due oceani si affermava vigorosamente in seno al mondo economico e politico degli Stati Uniti, del Regno Unito e di potenze europee come la Germania guglielmina. Dalla metà dell’800 l’istmo era percorso da una ferrovia appartenente ai nordamericani, le merci venivano trasportate via terra da una costa all’altra e reimbarcate, ma questo ormai non bastava più. Gli Usa, dopo la guerra con la Spagna del 1898 per Cuba, rilevavano quindi i diritti della defunta compagnia francese, mentre un trattato con la Colombia sottoscritto nel 1903 cedeva in affitto alla potenza costruttrice della via d’acqua una fascia di territorio larga dieci miglia, estesa da un oceano all’altro. Sul piano dei rapporti tra governi tutto sembrava risolto, senonché il parlamento di Bogotà rifiutò di sanzionare l’intesa. A Washington, dove il no era stato messo in conto, erano pronte le contromisure: il 3 novembre una rivolta fomentata da agenti della nuova compagnia proclamava la repubblica indipendente di Panama e un corpo di spedizione Usa sbarcava per presidiare, finalità di facciata, la ferrovia Colón-Panama. Il 6 novembre 1903, con perfetto tempismo, gli Stati Uniti riconoscevano il nuovo stato e il 18 firmavano con Bunau-Varilla, già ingegnere capo della società e adesso agente diplomatico del Panama a Washington, un accordo che rendeva operativo il testo respinto dal parlamento colombiano. La Colombia perdeva l’istmo e il neonato Panama – tagliato in due dalla cosiddetta Zona del Canale a sovranità Usa – doveva fare i conti con la presenza nordamericana sul proprio territorio, un «affitto» che durerà fino al 1999. Nella Zona tra l’altro fu installata la scuola cosiddetta antiguerriglia di Fort Gulick, la più grande del continente. I lavori del canale iniziarono subito diretti dal colonnello George W. Goethals, ingegnere dell’esercito americano, e a metà agosto del 1914 erano terminati. Ma l’Europa era in fiamme; anche gli Stati Uniti di lì a tre anni sarebbero entrati in guerra. Tornata la pace il canale – 82 chilometri di lunghezza – dimostrò la sua utilità: sono più di undicimila i transiti annuali. L’atteso potenziamento che avrà anche una impronta italiana ne farà lo strumento chiave per lo sviluppo dei traffici tra Europa, America, Oceania ed Estremo Oriente. A livello politico comunque proietta ancora un’ombra sul contesto delle relazioni inter­americane la cinica disinvoltura con la quale gli Usa si sbarazzarono del no colombiano. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt tentò di giustificarsi: «Se avessi seguito i metodi tradizionali – disse – avrei presentato al Congresso un pomposo dossier attorno al quale si discuterebbe ancora. Ma io occupai la zona del canale e lasciai che il Congresso discutesse. Mentre il dibattito continua, il canale progredisce». Lo sprezzante decisionismo inquietò l’opinione pubblica di tutta l’America latina. Ben altre inquietudini avrebbe tuttavia destato nel Cono Sud del continente la disinvoltura Usa via via manifestata nei decenni successivi.
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