venerdì 16 novembre 2012
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Poche settimane fa è stato nominato vicerettore dell’Università Cattolica del Portogallo, con sede a Lisbona. Scrittore prolifico, teologo-poeta capace di scandagliare l’esistenza alla luce della Parola e di vari autori ormai "classici" (da Simone Weil a José Saramago, da Fernando Pessoa ad Alda Merini), José Tolentino Mendonça è tra gli organizzatori e protagonisti (sabato a Braga, sul tema Narrare rende la vita più preziosa? Letteratura e spiritualità del Cortile dei gentili in Portogallo. Nelle librerie lusitane è arrivato da poco Nenhum caminho será longo, un saggio con la prefazione di Timothy Radcliffe sulla «teologia dell’amicizia» ispirato ad un proverbio giapponese («Nessun viaggio è troppo lungo con un amico»): in patria ha già avuto tre edizioni. In italiano si può leggere di lui Il tesoro interiore (Edizioni Paoline).Professor Mendonça, quali reazioni avete avuto nel vostro Paese riguardo al Cortile?«Premesso che vi parteciperanno scrittori, scienziati, artisti, filosofi, come Eduardo Lorenzo, molto noto da noi, devo sottolineare che non abbiamo ricevuto nessun rifiuto, anzi: una recezione gioiosa che dimostra come l’evento sia molto atteso! A tal riguardo penso che abbia inciso molto la visita di Benedetto XVI in Portogallo nel 2010, in particolare il suo incontro con il mondo della cultura. In quell’occasione il Papa parlò della Chiesa come "docente", ma anche della Chiesa come "discente", colei che può imparare dagli altri. Questo passaggio ha colpito molto l’intellighenzia di casa nostra».Qual è la situazione del confronto tra cristiani e atei in Portogallo?«Da noi il dialogo fra questi due "mondi" non rappresenta una novità. Dai tempi del Concilio Vaticano II, soprattutto grazie al nostro vescovo e patriarca José Policarpo, tale confronto si è sempre mantenuto attivo a vari livelli, in particolare con una notevole apertura verso la cultura "laica", anche quella in cui il dato della non credenza è molto marcato. Ora però questo dialogo va approfondito. E il prossimo Cortile dei gentili ne è l’occasione». Non vi è il rischio che tale confronto porti ad un annacquamento dell’annuncio cristiano?«Come in ogni cosa, anche nel dialogo la progressività del cammino diventa segno di saggezza. Va trovata pian piano la possibilità di uno scambio maturo con chi non crede. Bisogna poi capire che confrontarsi e dialogare sono esperienze che vogliono significare un cammino aperto. La sfida più grande è proprio questa, a mio giudizio: fare in modo che il Cortile dei gentili non sia rinchiuso in esperienze isolate e straordinarie, ma costituisca un modo normale di essere Chiesa. Per venire alla sua domanda: il dialogo non significa diluire la propria identità, ma far accadere un confronto nella verità. Confrontandoci con gli altri siamo anche più capaci di capire noi stessi. La nostra identità di credenti esce più rafforzata se ci mettiamo a discutere con quanti non hanno il dono della fede». Il suo ultimo libro parla della teologia dell’amicizia. Con quali atei ha intessuto questo sentimento?«Le racconto una storia che vale più di mille ragionamenti. Quando il premio Nobel per la letteratura José Saramago pubblicò il suo ultimo libro, Caino, prese l’iniziativa di contattarmi per fare un dialogo. È stata un’esperienza estremamente importante. Egli era già debilitato di salute e viveva su una sedia a rotelle. Parlando con lui ho capito che la questione di Dio accomuna credenti e non credenti. Un vero ateo è colui che pensa continuamente il problema di Dio. Un ateo come Saramago si dichiarava "senza Dio" ma il rapporto con Dio restava un elemento centrale nella sua ricerca umana. Il nostro dialogo è stato molto sincero nel dire ciascuno cosa pensava sulle questioni religiose. Lui se la prendeva con la Chiesa perché - a suo dire - essa ha tradito Gesù e il Vangelo. Io gli ho detto: "Lei è lo scrittore europeo più imparentato con la Bibbia perché la sua scrittura ha il sapore e il ritmo proprio della Scrittura". E su questo lui ha concordato: "È vero, la Bibbia è stata un libro fondamentale nella mia formazione umana e letteraria". Abbiamo trovato parole ferme nel nostro scontro di prospettiva. Inoltre ho avuto un’amicizia intensa con Tonino Guerra…».… il poeta, drammaturgo e sceneggiatore morto di recente.«Lui si definiva "un ateo con dei dubbi". Ecco, in questo mi ricordava Dostoevskij il quale sosteneva: "La mia fede è nata dal fuoco del dubbio". Quindi anche in questi casi si capisce come spesso la separazione tra non credente e credenti non sia poi così netta. A me piace rifarmi a Simone Weil quando diceva: "Tra un uomo che dice di credere in Dio e uno che dice di non credere in Dio, quello più vicino a Lui è il secondo". È la posizione della teologia negativa per la quale il silenzio di Dio non è la sua assenza, ma la più grande verità su di lui, verità che sfocia nel mistero».
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