martedì 10 agosto 2010
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Lo sguardo è quello corrucciato e intenso dell’investigatore Davide Testi dei Ris o del poliziotto Lorenzo Monti in Distretto di polizia. Uno sguardo pronto a venarsi di pazzia nell’affannosa ricerca dell’Altro, quello di Stefano Pesce, che inaugura il 22 agosto la serie di spettacoli sul palco del Meeting di Rimini con Caligola e la luna, da Camus, regia di Otello Cenci. Scrollandosi, così, di dosso l’immagine da bello della fiction, per ricordare che le sue radici arrivano dal teatro classico, dalla scuola Paolo Grassi e da Ronconi.Stefano, com’è arrivato al Meeting?«Sono stato contattato da Otello Cenci e sono rimasto subito entusiasta. Il Caligola non si può rifiutare: è una grande sfida che ogni attore dovrebbe affrontare. Il Meeting è un grande appuntamento, con un pubblico particolare: è importante il luogo, ma anche che cosa si va a fare lì».E quindi, lei cosa andrà a fare?«Penso di mettere in scena uno spettacolo bello e profondo. Confesso di essere rimasto sorpreso che al posto di un musical qualsiasi, al grande pubblico venisse proposto un testo così impegnativo. Sarà che ormai il nostro Paese, schiacciato dalla crisi economica e politica, vive solo di intrattenimento, va verso un gigantesco varietà. E lo dico sapendo che io ci sono dentro fino al collo».Non è soddisfatto del suo lavoro in tv?«Non dico questo, anzi, sono molto fortunato perché ho la possibilità di scegliere dei progetti. E si possono dire anche dei no. Però non c’è più il grande cinema impegnato di una volta, oppure il grande teatro di un tempo. Non è un male che si proponga anche qualcosa di più leggero in tv: il male è che ci sia solo quello».Lei cosa sogna, ad esempio?«Mi piacerebbe girare un film con Pupi Avati. Ho lavorato con suo figlio, Tommaso portando a teatro un suo testo. Ma c’è una cosa che non capisco, proprio perché andrò a Venezia con un piccolo film, La vera vita della Bonfanti di Franco Angeli. Se è vero che il film di Avati non lo hanno ammesso per ragioni politiche, senza neanche vederlo, ebbene, questa è una porcheria». Intanto per lei c’è questo Caligola. Cosa vedremo?«Del Caligola Camus scrisse tre versioni: l’ultima, quella de ’58, la portiamo in scena noi. Nel delirio di onnipotenza dell’imperatore romano, Camus si muove su due territori molto difficili: mostra cos’è la follia umana e indaga sulla complessità dell’uomo. L’uomo che cerca Qualcuno fuori da sé, l’uomo che è pieno di bene e di male».Un bel salto dalle indagini dei «Ris»...«Caligola è mosso dalla sete dell’impossibile, di qualcosa che non è di questo mondo ed è insoddisfatto. E quando capisce di non riuscire a trovarlo, si infuria, decide di causare la propria morte, compiendo una serie di azioni disumane pur di provocare la reazione di Qualcosa o Qualcuno. Verrà ucciso e nel momento della morte Camus lo dipinge, in una pagina indimenticabile, come libero dal mondo e dalle sue sovrastrutture, finalmente in profondo contatto com se stesso».Questo testo smuove le coscienze. Anche quella di Stefano Pesce?«Mi fa paura per gli argomenti che tratta, non si può andar lì sul palco e fare finta. Come attore scandagliare l’oscuro dell’anima può smuovere le mie piccole o grandi sicurezze. Il Mistero? Io vengo da una solida famiglia cattolica, purtroppo non ho il dono della fede, ma stimo profondamente la figura di Gesù. E sono convinto che esista una parte di infinito dentro di noi».
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