venerdì 9 agosto 2019
Si discute sulla natura della materia oscura. Intanto è aperta la caccia ai buchi neri supermassicci nell’universo primordiale
(Nasa)

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Per ora lo dice un modello matematico molto raffinato messo a punto dal fisico finlandese Tommi Tenkanen, che attualmente lavora negli Stati Uniti a Baltimora, nel Maryland, per l’Università Johns Hopkins. Ovvero, che le particelle che costituiscono la materia oscura dell’universo, le quali secondo le attuali teorie costituirebbero un quarto dello spazio interstellare, potrebbero essere esistite prima del Big Bang.

A questo modello manca però la verifica sperimentale, che tuttavia potrebbe arrivare molto presto grazie all’entrata in servizio telescopio spaziale Euclid dell’Agenzia spaziale europea (Esa), il cui lancio è previsto nel 2022. La principale missione scientifica di Euclid sarà infatti quella di elaborare una mappa aggiornata del cosmo. E su una eventuale risposta sperimentale "affermativa" alla teoria di Tenkanen (che per ora individua una possibilità puramente matematica, mancandone appunto il riscontro fisico attraverso la verifica sperimentale) molti scienziati sono scettici.

« Come fanno ad esistere particelle prima del Big Bang, che per definizione è lo stato di vuoto perfetto, dove tutto è pura energia e non ci sono particelle?», ha affermato il fisico Salvatore Capozziello, che insegna cosmologia e relatività generale all’Università Federico II di Napoli.

La natura della materia oscura è appunto uno dei problemi irrisolti nella comprensione dell'universo da parte degli esperti. «La sua esistenza è fondamentale per spiegare la formazione e la distribuzione delle galassie, ma al momento gli esperimenti che danno la caccia alle particelle di cui sarebbe formata, come Xenon1T nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), non sono riusciti a trovarne i costituenti», ha detto ancora Capozziello.

L’idea più gettonata dalla comunità scientifica è che in realtà la materia oscura non sia formata da particelle, ma rappresenti piuttosto un effetto gravitazionale su larga scala.

Intanto, non è sfuggito a uno dei più potenti telescopi il buco nero più antico e inafferrabile perché oscurato da una densa cortina di nubi di gas. Lo ha scoperto il telescopio a raggi X Chandra, della Nasa, i cui dati sono stati analizzati dalla ricerca internazionale coordinata dal gruppo della Pontificia Università Cattolica del Cile guidato da Fabio Vito. Alla ricerca, pubblicata sulla rivista Astronomy & Astrophysics, ha contribuito anche l’Italia, con l’Osservatorio di Bologna dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e il dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna. In pratica il buco nero misterioso è un quasar, ossia un buco nero supermassiccio estremamente luminoso, e si è formato “appena” 850 milioni di anni dopo il Big Bang (considerando che l'universo ha 13,5 miliardi di anni) e la nube di gas che lo avvolge ne starebbe alimentando la crescita.

Con questa scoperta comincia una caccia affascinante perché, ha detto Roberto Gilli, dell’Inaf, «sospettiamo che la maggior parte dei buchi neri supermassicci nell’universo primordiale siano nascosti, proprio come quello che abbiamo individuato. Riuscire a trovarli e a studiali potrà permetterci di capire in che modo i primi buchi neri riescano a crescere tanto rapidamente, fino a raggiungere masse pari a miliardi di volte quella del Sole».

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