mercoledì 28 ottobre 2020
Ultimo capitolo della quadrilogia dello scrittore ungherese sull’apocalisse senza speranza che travolge la nostra civiltà
Lázló Krasznahorkai

Lázló Krasznahorkai - WikiCommons

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C’è l’incombere dell’apocalisse in Guerra e guerra, l’ultimo romanzo di László Krasznahorkai, da molti considerato il più importante scrittore ungherese vivente, pubblicato in Italia da Bompiani (pagine 400, euro 20) tradotto da Dóra Várnai. Uscito nel 1999, fa parte di una quadrilogia («questo è il mio solo libro», ha dichiarato l’autore) che comprende anche Satantango del 1985, Melancolia della resistenza, del 1989, che lo ha consacrato a livello internazionale, e Il Barone Wenckheim( 2016). Quattro opere visionarie accomunate dalla medesima urgenza della fine. La rivelazione che oltre la realtà regnano il nulla, il disordine, il male e che, in certi fasi della storia si materializzano in forme diverse. «Ci ostiniamo a non considerare che l’apocalisse è ciò in cui viviamo», avvertiva Krasznahorkai in una intervista rilasciata nel 2019 a un quotidiano italiano.

Il plot di Guerra e guerra intreccia due filoni narrativi, quello del protagonista Gyorgi Korin, di professione archivista nella piccola cittadina che facilmente identifichiamo con Gyula, dov’è nato l’autore, e di un misterioso manoscritto che il protagonista ritrova per caso e che gli rivela la vera natura del mondo e delle cose: «Non aveva ricevuto un sapere al posto di un altro, no, aveva ricevuto piuttosto una spaventosa complessità, e quando da quel momento in avanti avrebbe pensato al mondo tale complessità sarebbe diventata sempre più inestricabile ». In questa prospettiva si può parlare, rispetto al testo biblico, di «anti– apocalisse», cioè della rivelazione non di un senso, di un compimento, che pure c’era in un precedente ordine del mondo in cui sopravvivevano ancora religioni e mitologie, ma di un disordine espressione tangibile di quella complessità. Compare qui il richiamo alla figura del dio greco Ermes. Di fronte a un ordine apparente rappresentato da Zeus, Ermes introduce i suoi sudditi «nella notte, mostra il caos, mette di fronte all’improvviso, all’inaspettato, all’incalcolabile, al casuale».

Come in un caleidoscopio Kraszonohorkai si diverte ad abbozzare figurazioni in apparenza convincenti del reale per poi mostrarne altre con diversa prospettiva. In questo senso Guerra e guerra, con le sue diverse sequenze narrative, è il frutto epigono di un tardo postmodernismo che si rivela nel congegno narrativo del libro. Ma i riferimenti sono anche al modernismo europeo, a Kafka, suo nume tutelare, nella messa in scena di personaggi monodimensionali privi di soggettività e per l’incombere angosciante di una realtà «meccanismo infernale». Il risultato è spiazzante, come la lettura del misterioso manoscritto, «che sembrava voler parlare del giardino dell’Eden», ma ormai perduto.

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