venerdì 3 settembre 2021
L’opera prima del regista Celli. Ancarani con “Atlantide” racconta l’attuale gioventù veneziana delle loro iniziazioni mortali per non finire al margine del gruppo
Una scena del film “Mondocane” di Alessandro Celli

Una scena del film “Mondocane” di Alessandro Celli - .

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Storie di gioventù bruciata, dai fumi velenosi di una Taranto da fantascienza (ma neanche tanto) all’apparente calma piatta della laguna veneziana. Sono quelle raccontate ieri al Lido da due film italiani che affrontano con occhio partecipe il tema dell’innocenza perduta: Mondocane del regista Alessandro Celli, e Atlantide diretto dal videoartista Yuri Ancarani, ambedue sostenute da Rai Cinema. Mondocane, opera prima di Alessandro Celli prodotta da Matteo Rovere debutta a Venezia in gara nella Settimana della Critica e arriva nelle sale italiane stasera.

La Taranto del futuro prossimo venturo è rigidamente divisa tra la Taranto Nuova, residenza esclusiva per soli ricchi, e la fetida e violenta favela in cui anche la polizia fatica ad entrare, dominata dalle Formiche, una banda di bambini e ragazzini violenti armati di pistole e fucili. A capeggiarli è il carismatico e pe- ricoloso Testacalda (un ambiguo ed efficace Alessandro Borghi), che fra dolcezza e crudeltà manipola i suoi bambini come un moderno Mangiafuoco. Protagonisti sono due orfani tredicenni, Pietro, soprannominato Mondocane (Dennis Protopapa), intelligente e riflessivo e Christian, coraggioso e generoso, ma affetto da attacchi epilettici, soprannominato Pisciasotto (Giuliano Soprano).

I due ragazzi sono inseparabili e sopravvivono sfruttati da un violento pescatore. L’unica strada per cambiare vita, pensano, è entrare fra le Formiche, che spadroneggiano a Taranto vecchia. In questo mondo di bambini perduti c’è anche una bimba orfana, Sabrina (Ludovica Nasti), sempre pronta a scappare dall’orfanotrofio/ fabbrica nel quale vive. A un certo punto però la loro amicizia sarà messa a dura prova da una scelta: diventare dei violenti assassini o trovare salvezza in un altro modo. «Vivono in un mondo senza memoria, senza padri e senza Dio, privo assolutamente di speranza» spiegano regista e produttore spiegando la prima scena, in cui i ragazzini pescano un antico Crocefisso e se lo caricano in spalla senza sapere neanche che cosa è. «Ci siamo ispirati dal vivo dibattito sulle sorti dell’acciaieria di Taranto e della sua gente.

Ho immaginato un fallimento sociale, la regressione a un Terzo Mondo dai grandi contrasti», ha spiegato il regista. Una storia che può essere «una provocazione, un racconto esistenziale e di formazione incentrato sulla ricerca di un’identità famigliare e individuale. Ma vuole soprattutto essere la storia di un’amicizia ». «Il cinema – aggiunge Alessandro Borghi al Lido – ci consente di trattare anche attraverso i vari generi, come anche la fantascienza, argomenti assolutamente politici. È anche una responsabilità del cinema affrontare questi temi». Ci sono voluti quattro anni di lavoro e di silenziosa osservazione dal vero, rubando dialoghi e storie, invece, a Ancarani, qui alla sua seconda regia, per raccontare in Atlantide, presentato nella sezione Orizzonti, le sfide “mortali” dei minorenni delle isole veneziane che rischiano la vita in folli gare su barchini truccati che sfrecciano nella laguna.

«Sono partito da un episodio di cronaca, come purtroppo ne accadono tutti gli anni in Laguna, quello della morte in uno schianto su un barchino di un ragazzo » spiega Ancarani che è anche montatore e sceneggiatore di un film che è anche arte nell’uso sapiente delle luci fosforescenti delle imbarcazioni per illuminare una Venezia poetica e psichedelica. Come psichedeliche sono le notti brave di questi ragazzi che, fra canne e trap, sognano solo di essere i più veloci, infrangendo ogni regola. Come Daniele, un giovane di Sant’Erasmo, all’estremità della laguna, vive di espedienti ed è emarginato anche dai suoi coetanei. Il rito di iniziazione al gruppo sarà una gara illegale dalle conseguenze nefaste.

«Daniele è come ero io – svela il regista – . In Romagna ci sono le moto. Anche io ero un emarginato che cercava di farsi accettare in una compagnia sbagliata. Soffrivo, ma proprio essere un “perdente” mi ha salvato. Questi ragazzi sono tanti e sono il futuro di Venezia, smettiamola di raccontare una città moribonda. Ma di futuro non ne hanno se restano nell’ignoranza e chiusi in una visione della vita in cui si pensa solo a se stessi e non al benessere del prossimo. Vanno osservati e ascoltati ».

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