sabato 28 settembre 2013
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Tutta colpa dei sinonimi. Dell’idea che si possano indifferentemente associare e mescolare parole come violenza, conflitto, guerra, litigio, contrasto o prepotenza in un unico calderone. Eppure gli effetti di questa confusione possono essere pericolosi. Si può chiamare conflitto la guerra in Afghanistan e contemporaneamente il litigio tra vicini di casa? E se si definisce violenta la sceneggiata di un bambino che piange e strepita per non aver vinto a un gioco in cortile come si chiamerà lo schiaffo che lo mette a tacere? La domanda non è oziosa: da anni Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace di Piacenza, lavora scientificamente sull’idea del conflitto come forma di relazione più evoluta e su un dato oramai incontrovertibile: che alla base di molti comportamenti violenti ci siano l’incapacità di gestire situazioni conflittuali, la difficoltà cioè a tollerare emotivamente le contrarietà nelle relazioni e ad affrontare litigi, parole, sguardi o gesti negativi senza fare dell’eliminazione dell’altro l’unico modo di sanare la minaccia. La cronaca è densa di esempi, di situazioni conflittuali in cui il rancore o la rabbia covati profondamente per anni, in una sorta di analfabetismo di relazione, esplodono in modo drammatico nella coppia, tra colleghi di lavoro, vicini di casa o persino sconosciuti. Perché il mondo è complicato e le persone sempre più inadeguate a mediare dialetticamente divergenze e contrarietà. «Chi non ha imparato a sostare nel conflitto, a litigare, e a litigare bene – spiega Novara – corre dei rischi. In situazioni di conflitto potrebbe rispondere con la violenza, perché questa è la strada più semplice e immediata. Quella che risolve il conflitto eliminando chi crea il problema. In una società che è sempre più basata sull’autoregolamentazione, invece, bisogna imparare fin da piccoli a stare dentro i contrasti e le contrarietà. In questo senso saper litigare è protettivo, perché insegna a stare al mondo». Lo confermano i risultati di una poderosa ricerca sperimentale sul litigio infantile – la prima a livello internazionale sul tema, messa a punto nei mesi scorsi ma risultato di trent’anni di lavoro – confluiti in un progetto educativo sano e funzionale. Un metodo “maieutico” che Novara racconta nella teoria e nella pratica in due volumi freschi di stampa: Litigare con metodo, scritto con Caterina Di Chio e pubblicato da Erickson (pagine 104 , euro 17,00), che aiuta a gestire le difficoltà in classe; e Litigare fa bene (Rizzoli, euro 9,90), 270 pagine pensate per i genitori, ricche di storie, esperienze e percorsi pratici. «Un metodo educativo sperimentale efficace per rinforzare la capacità dei bambini, soprattutto di quelli più piccoli, di risolvere autonomamente i conflitti, cioè di cavarsela da soli». Una sponda metodologica liberatoria per bambini e genitori, la definisce Novara, che in più è utile per migliorare il clima familiare spesso invelenito dalle liti tra fratelli. Perché di fatto i bambini tra loro litigano e spesso, con un rumore di fondo che i genitori o gli insegnanti anelano solo a spegnere. Il problema è che per gli adulti il litigio è ancora un tabù. Qualcosa di negativo da reprimere e castigare. Del resto, come spiega Daniele Novara, «in un Paese in cui la pedagogia non esiste più, ma è stata sostituita dalle tate dei reality tv, c’è un vuoto enorme rispetto ai riferimenti di una scienza che stia alla base dell’educazione. Gli insegnanti da anni non fanno formazione e i genitori disinformati e confusi navigano a vista». Così che, tirati in ballo, finiscono per recuperare nella propria storia e quindi riproporre comportamenti vessatori che non hanno nulla di educativo. Gli adulti intervengono per zittire i litiganti, pacificare gli animi, ristabilire un’ideale armonia e chiudere la contesa individuando infine il cattivo da castigare e il più debole da proteggere. «L’educatore invece – sottolinea il pedagogista – dovrebbe fare esattamente il contrario, creare le condizioni perché i bambini attivino le proprie risorse nel far da soli, sostenere il loro diritto di litigare e di sperimentare il limite ma anche l’espressione delle diverse versioni del conflitto». È il metodo che Novara chiama dei “Due passi indietro e due avanti” che consiste non nel cercare il colpevole e imporre le soluzioni, ma nel favorire il racconto reciproco del litigio e la ricerca dell’accordo tra i litiganti stessi. Ottimo esercizio per l’autostima, fatto di tanti passaggi di crescita poiché la conclusione, anche se pare ovvia, è che i conflitti non si annullano ma si gestiscono. Che nel farlo ci si rafforza, perché strada facendo si imparano le mosse giuste, intelligenti e comunicative che preservano dalla violenza, di cui sono un efficace antidoto. E soprattutto si apprende a stare insieme nella criticità e nella divergenza. I contesti difficili sono la vera sfida. Non c’è storia quando insieme ci si ascolta piacevolmente e l’intesa è pacifica. Troppo facile.
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