mercoledì 19 febbraio 2014
​La miniera dell’Italia sportiva si chiama short track. È grazie a questa disciplina che il bottino azzurro ai Giochi di Sochi ha già superato il risultato auspicato alla vigilia.
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La miniera dell’Italia sportiva si chiama short track. È grazie a questa disciplina che il bottino azzurro ai Giochi di Sochi ha già superato il risultato auspicato alla vigilia. Con il terzo posto della staffetta femminile di martedì, l’Italia è arrivata a sei medaglie, una in più di Vancouver: due argenti e quattro bronzi. Manca ancora l’oro, ma al momento non pare un problema. La metà delle medaglie è arrivata proprio dal pattinaggio velocità in pista corta, o short track per dirla all’inglese. Così chiamato per distinguerlo dalla pista lunga dove i pattinatori girano a coppie nell’anello da 400 metri e lottano contro il tempo. Nella pista corta invece si lotta spalla a spalla su un anello da 111 metri e qualche spicciolo. Le cadute sono all’ordine del giorno, ma anche se si casca a terra, ci si rialza e si riprende a pattinare. Esattamente quello che ha fatto l’Italia ieri nella staffetta. Arianna Fontana, proprio lei, è finita faccia a terra in rettilineo, ma nonostante ciò le nostre hanno portato a casa il bronzo per la squalifica della Cina. Le lacrime di Nadia Fanchini, invece, bagnano l’ennesima medaglia di legno dell’Italia. Nello slalom gigante la sciatrice bresciana ha mancato il bronzo per soli 11 centesimi dopo aver chiuso la prima manche al terzo posto. È amareggiata anche Federica Brignone, uscita subito di pista e dai Giochi, per la distorsione del ginocchio destro rimediata nella caduta. Cade anche Omar Visintin e lascia sulla neve della semifinale dello snowboard cross una medaglia che sembrava sicura. In finale, poi, cade anche Luca Matteotti e taglia il traguardo in sesta posizione. Arianna Fontana, Martina Valcepina, Elena Viviani e Lucia Peretti, le nostre quattro portacolori dello short track, sono tutte valtellinesi. La Fontana è nata a Sondrio, le altre tre a Sondalo. Valcepina e Viviani, entrambe ventunenni, pattinano insieme da 14 anni: «Facevo sci di fondo, poi all’asilo sono passata allo short track e non ho più smesso. Le prime cadute sono le più brutte, poi facendoci l’abitudine passa tutto. Col tempo ti appassioni e vai avanti. E quando arrivi alle Olimpiadi - osserva la Viviani - capisci che questo sport è bellissimo». «Io ho seguito mia sorella, ho fatto un corso di avviamento all’asilo e ho deciso che questa era la mia strada», aggiunge la Valcepina. La Peretti ci ha messo invece qualche anno in più per cominciare: «Mi sono lanciata a 10 anni, a Bormio a parte sciare e pattinare non c’è niente da fare. La cosa bella è che siamo tutte amiche perché passiamo insieme la maggior parte dell’anno». Durante il quale i sacrifici, anche dal punto di vista alimentare, sono indispensabili: «I piatti tipici della Valtellina, dai pizzoccheri alla polenta taragna, non ce li fanno mangiare altrimenti ingrassiamo», dicono all’unisono le tre compagne della Fontana, per le quali «i risultati di Arianna sono un grande stimolo a fare bene e a continuare a divertirsi sul ghiaccio». Già perché questo è uno sport divertente, praticato in Italia a livello agonistico soltanto da 700 persone. Tanti sono i tesserati della Fisg (Federazione italiana sport del ghiaccio) che annovera esclusivamente coloro che sono in attività. Gli impianti nel nostro Paese sono una quarantina, più della metà nella sola provincia di Bolzano. La pratica dello short track è concentrata in tre regioni: Piemonte, Lombardia e Trentino-Alto Adige. La culla della disciplina è però la Valtellina e in particolare Bormio. È qui che sono stati allevati la maggior parte dei medagliati azzurri a cinque cerchi. Sì, perché lo short track ha regalato medaglie olimpiche all’Italia sin da Lillehammer 1994 con l’oro della staffetta maschile composta da Maurizio Carnino, Orazio Fagone, Hugo Herrnhof, Mirko Vuillermin e l’argento di quest’ultimo nei 500. Dopo l’argento del quartetto maschile anche a Salt Lake City 2002, dall’edizione casalinga di Torino 2006 è cominciata l’era Fontana. La saetta di Berbenno è stata bronzo in staffetta a soli 15 anni insieme a Marta Capurso, Katia Zini e Mara Zini. Si è poi ripetuta a Vancouver col bronzo nei 500 ed è esplosa a Sochi con l’argento nei 500, il bronzo nei 1500 e ieri il bronzo in staffetta. Per far crescere il movimento la Federazione ha ingaggiato due tecnici canadesi: Eric Bedard e Kenan Gouadec. La cura nordamericana ha portato i suoi frutti, poiché negli ultimi quattro anni Arianna Fontana è migliorata molto sul ghiaccio. «Ha tutto per fare bene, fisico, tecnica e testa. Noi abbiamo lavorato soprattutto sulla fase di curva, adesso nell’entrata è sicuramente una delle migliori. È migliorata tantissimo anche nell’appoggio della mano sul ghiaccio e nella spinta successiva nel tratto rettilineo», commentano all’unisono Bedard e Gouadec, i quali sono perfettamente complementari: una frase a testa, ma senza alcuna ripetizione di concetti. I due tecnici ritengono che sia facile lavorare con la Fontana: «È una ragazza sveglia che recepisce subito i consigli. In gara fa tutto per vincere. La sua più grande dote è la determinazione: quando si mette una cosa in mente, fa di tutto per farla». La squadra nazionale si allena per 200 giorni all’anno, da settembre a marzo a Courmayeur in Valle d’Aosta, da giugno ad agosto a Baselga di Pinè in Trentino. Le pattinatrici su pista corta sono delle ragazze semplicissime. Quando le vedi uscire dall’impianto hanno il caschetto in testa, lo zaino sulle spalle, i pattini in una mano, il torchietto nell’altra. Quest’ultimo è l’attrezzo indispensabile per rifare il filo ai pattini. Affilare le lame e farle volare sul ghiaccio. Occhio che non è ancora finita. La Fontana ci riproverà venerdì nei 1000 metri.
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