martedì 12 novembre 2013
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“Gli esami non finiscono mai”. E’ vero. Siamo degli eterni scolaretti alla scuola della vita. Troppo grande è il mistero in cui siamo avvolti. Noi possiamo solo tentare di indagarlo. Come i bambini abbiamo bisogno di conservare la capacità stupirci, di ridere e giocare. Di perdere tempo per meglio valorizzare il tempo. Giocare. Agli adulti non viene facile. Il gioco richiede gratuità. Si gioca per stare assieme. Per conoscersi meglio. Per regalarsi gioia. Per stringere amicizia. Si gioca per ridere. Per fare comunione. Per gettare via il peso di una giornata di lavoro. Si gioca per sdrammatizzare. Per ritornare bambini. Gli adulti, in genere, non sanno giocare. O, almeno, non sanno farlo bene. Debbono imparare. Con umiltà. Debbono andare a scuola dai loro bambini. Senza ipocrisie. Chiamando le cose con il loro giusto nome. Senza barare. Gli adulti non sanno giocare perciò rubano ai bambini termini e giocattoli. Con questi fanno finta di imitarli e si bruciano il cervello. Pensate alle slot machine. Una trappola per gente che si lascia ammaliare. Un pessimo esempio per i nostri ragazzi. Restano là, come imbambolati, a gettare via il denaro per pagare l’affitto della casa. Soli. Soli davanti a una macchina assassina. Dal gioco vero si esce sudati e stanchi, gioiosi e ristorati. Da questo falso gioco si esce a pezzi. Nervosi e annoiati. Frustrati e depressi. Con sensi di colpa nei confronti della famiglia maltrattata. Soli. Li vedi al bar quando entri per un caffè. Sono nostri fratelli. Dovremmo aiutarli e invece approfittiamo della loro debolezza. Nel mondo, tra i tanti giochi antichi, uno in particolare, ha preso il sopravvento: il calcio. Chi lo ha inventato è stato un genio. Basta un pallone, un piccolo spazio, un gruppo di amici e… il gioco è fatto. Si corre, si suda, si scalcita, si grida, si tira. La partita di calcio riproduce una battaglia. Ci sono amici e avversari. Si attacca, si difende. Si combatte. Un solo desiderio: vincere. In fondo l’uomo ha bisogno di un nemico da combattere. Forse dipende da questo il successo del gioco del calcio. Ben venga dunque, se ci fa più forti e più capaci. Se riuscissimo, allora, a essere nemici dell’ingiustizia e della povertà, della menzogna e della falsità sarebbe una cosa stupenda. Prenderemmo a combatterli con tutta la nostra forza. Se il mio nemico non è più l’uomo diverso da me ma il male che lo affligge avrò fatto un bel pezzo di strada. Nocera dista pochi chilometri da Salerno. Domenica scorsa le squadre di calcio di queste due città si affrontano. Giocano. O, almeno, così è previsto. Vince il migliore? Macché. Ogni squadra ha i suoi tifosi. Alcuni a tutti i costi vogliono essere più tifosi degli altri. Ne hanno estremo bisogno. Il motivo mi sfugge. E’ come se soffrissero di un complesso di inferiorità. Forse, inconsciamente, vogliono richiamare l’attenzione su di sé. Costoro dagli spalti incitano i giocatori. Li invogliano. A volte addirittura li minacciano. Il fatto è grave. Che c’entra il gioco con la prepotenza, la violenza, la sopraffazione? Domenica scorsa, costoro intimano ai giocatori della Nocerina di non giocare e loro, i giocatori, si sottomettono a tanta protervia. Fingendo malesseri e malori inesistenti, diversi di loro escono dal campo impedendo il normale svolgimento della partita. Brutta storia. Davvero. Pessima figura per tutti. Chi ci rimette è il gioco. Al di là del singolo episodio, credo che occorra fermarsi e seriamente e interrogarsi sul senso del gioco e dei giochi. Del tempo libero e dei milioni spesi per l’acquisto di un singolo giocatore. Occorre riflettere sugli idoli creati a tavolino e sulle conseguenze che ne derivano. Viva il gioco del calcio. Viva una bella partita di pallone quando porta a migliorare i rapporti tra gli esseri umani e a donare un po’ di gioia e di speranza per riprendere il faticoso cammino della vita.
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