lunedì 30 dicembre 2013
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Il fico è il primo albero che viene chiamato con nome proprio nella Bibbia. Degli altri alberi, compreso quello del frutto proibito, non si specifica se fossero di pere, di mele, albicocche o altro. Si, invece, del fico che le sua larghe foglie offrì nella Genesi ad Adamo ed Eva i quali con esse si affrettarono a coprire alla meno peggio le proprie nudità. Il fico poi accompagna l’umanità nel gran corso delle Sacre Scritture fino all’Apocalisse, dove «sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti che maturava». Nei Vangeli il fico è addirittura elevato a maestro e quasi profeta. «Dall’albero di fico imparate», dice Gesù a proposito della futura venuta del Figlio dell’uomo. Strano, però, proprio l’albero di fico sarebbe stato da Gesù peggio che bistrattato: maledetto e seccato. Possibile? Per quale motivo? Gesù aveva fame, d’accordo. Ma nel vangelo di Marco (XI,13) si chiarisce che «non era il tempo dei fichi». Poteva un povero albero dare frutti fuori stagione, contro natura? Gesù era ben pratico di agricoltura. La gran maggioranza delle sue parabole sono d’impianto agricolo. Egli stesso di sé ha detto : «Io sono la vite, voi i tralci e il Padre mio l’agricoltore». Interverrà Luca, l’evangelista amico e collaboratore di San Paolo, a chiarire la faccenda restituendo all’albero di fico il diritto alla vita così come a Gesù era dato dire nello stile. Intanto non si tratta più di un episodio, bensì di una parabola, realissima per quanto si voglia, ma parabola. «Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna e andò a cercavi qualche frutto e non ne trovò. "Taglialo - disse al contadino -. Da tre anni che vengo a cercavi qualche frutto e non ne trovo". Ma il contadino consigliò: "Signore, lasciamolo ancora quest’anno, ché io gli zappi attorno e gli metta il concime. Se farà frutti, bene, se no si taglia"».Si noti che il contadino non incolpa l’albero. Il fico poteva non essere responsabile della propria sterilità. Può darsi che gli sia mancato quel pugno di concime con la zappatina alla terra dura che lo stringeva, e fors’anche un rigenerante acquazzone dal cielo.Morale della parabola? Nel padrone della vigna si riconosce subito l’Onnipotente Signore Dio. Nel contadino può ravvisarsi senz’altro lo stesso Gesù. Si fa lui stesso carico della sterilità del povero albero e intende provvedervi, lavorandovi intorno e dandovi il concime della grazia. Con Gesù contadino collaborano i santi e in particolare la Madonna, advocata nostra.Superfluo aggiungere che l’albero di fico è o potrebbe essere ognuno di noi. Ma naturalmente ciascuno dovrebbe riuscire a fruttificare da sé, con le virtù cosiddette cardinali. Se poi, nella giusta stagione, non si riuscisse a dar frutto nemmeno con il concime della grazia e le virtù cosiddette teologali, sarebbe un guaio. In ogni caso, si salvi almeno il fico della parabola evangelica dal quale, secondo Gesù, si potrà imparare tra l’altro a riconoscere i segni del futuro, l’avvento dell’Apocalisse o Rivelazione risolutiva del Figlio dell’uomo.
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