lunedì 14 novembre 2011
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Una Messa per il poeta. Ma anche per il regista, il polemista o qualsiasi altra definizione si voglia affiancare al nome di Pier Paolo Pasolini. Una Messa per il grande inquieto, dunque, sempre tentato dall’esperienza del sacro e sempre contraddittorio nell’esplorazione del mistero. Accade sabato 19 novembre a Casarsa della Delizia, al termine del convegno su “Pasolini e il sacro” che il locale Centro studi organizza a partire da venerdì 18 in collaborazione con una serie di realtà tra le quali si trova anche la Pro Civitate Christiana di Assisi (per informazioni www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it ). Com’è noto Casarsa, in provincia di Pordenone, è il paese d’origine della madre dello scrittore, Susanna, che insieme con Pier Paolo e gli altri defunti della famiglia Pasolini verrà ricordata durante il rito celebrato da padre Virgilio Fantuzzi, il critico cinematografico di «Civiltà cattolica» che dell’opera pasoliniana è considerato uno degli esperti più autorevoli.«Anche per me – spiega Fantuzzi – tutto comincia con Il Vangelo secondo Matteo. Nel 1964, quando uscì il film, stavo ancora studiando per diventare gesuita e all’epoca seminaristi e sacerdoti non potevano frequentare le sale pubbliche. Ma c’erano le proiezioni in collegio e fu così che vidi per la prima volta il Vangelo. Ne rimasi molto colpito, ma anche sconvolto, perché avevo letto le professioni di ateismo del regista. Trovai il modo di incontrare Pasolini per dirgli quello che pensavo. E cioè che, se non fosse stato credente, non avrebbe mai potuto dirigere un film come quello. Lui mi ascoltò, diventammo amici e da allora in poi discutemmo spesso delle tematiche che lo appassionavano. So benissimo che religiosità di Pasolini è un argomento controverso. Quello che posso dire con sicurezza è che negli ultimi anni della sua vita non si dichiarava più ateo». Un altro dato inconfutabile è la centralità che Il Vangelo secondo Matteo conserva all’interno dell’opera di Pasolini. «Anche dal punto di vista stilistico – precisa Fantuzzi –. In un primo momento aveva pensato di girarlo con un’impostazione "romanica", simile a quella di Accattone, in modo da mantenere una distanza con le immagini, riprese frontalmente. Si ritrovò invece, come ammise lui stesso, ad adottare una modalità “impressionista-espressionista”, di pieno coinvolgimento, che pure non gli impedì di attenersi con fedeltà pressoché letterale al testo di Matteo. Una “conversione” ci fu, dunque. Sui generis, compiuta anzitutto suil piano dello stile, ma non per questo meno significativa».A ribadire quanto complesso possa essere il discorso sulla religiosità pasoliniana è un altro dei relatori del convegno di Casarsa, lo storico Remo Cacitti, docente di Letteratura cristiana antica alla Statale di Milano. «Pasolini fu spesso accusato di ateismo – ricorda lo studioso –, ma in termini che ricordano le analoghe imputazioni che i romani rivolgevano ai cristiani delle origini. Su due aspetti, in particolare, l’ateismo dello scrittore si avvicina al cosiddetto “ateismo protocristiano”. I pagani trovavano intollerabile il fatto che i seguaci di Gesù non onorassero gli dèi della città. Per questo Luciano di Samosata li accosta addirittura agli epicurei. Ecco, mi pare che le critiche rivolte a Pasolini poggiassero sulla stessa insofferenza per il suo atteggiamento di demistificazione religiosa. Il secondo elemento è la demistificazione politica: i cristiani rifiutavano l’identificazione, tipica dell’età augustea, tra religio, pietas e humanitas, in conseguenza della quale chi non era pius si poneva al di fuori del consesso umano. Senza dimenticare che a Roma, tradizionalmente, l’accusa di empietà andava di pari passo con quella di licenza sessuale. Tutti aspetti che tornano nella querelle su Pasolini, che tuttavia appare sempre impegnato in una personalissima “imitazione di Cristo”».Prova a tirare le fila il critico Filippo La Porta, che a Casarsa pronuncerà un intervento dal titolo programmatico: “Il sacro è la realtà stessa”. «Pasolini – argomenta La Porta – muove da una posizione che potremmo definire gnostica: gettato nel mondo, lamenta il trauma della perdita e percepisce il mondo come ostile. Ma non si ferma qui, perché strada facendo si accorge che la realtà stessa può essere il luogo in cui il sacro si manifesta, se non altro come memoria di un’ineffabile unità originaria. È un percorso in cui giocano un ruolo importante gli scritti di Mircea Eliade, di cui Pasolini è lettore e da cui attinge l’idea che ogni oggetto è sé stesso e, nel contempo, significa anche altro da sé. Siamo, si capisce, in una visione ciclica del tempo, di ascendenza pagana, che però nella vicenda di Pasolini si intreccia spesso con un cristianesimo contadino, a sua volta non estraneo a questa percezione cosmica. Più ancora che sul piano concettuale, del resto, il rapporto di Pasolini con il cristianesimo si consuma nella dimensione di una concretezza che si sarebbe tentati di qualificare come politica e che ha il suo compimento nella gratuità, in una purezza di sguardo che lo porta, da ultimo, a riconoscere la vita come dono».
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