domenica 8 maggio 2016
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Giovanni Pascoli moriva il 6 aprile 1912, un Sabato Santo. Ad assisterlo, sino alla fine, come aveva fatto per oltre ventisette anni, c’era la “dolce sorella” Maria. Una figura per lungo tempo sminuita ma che in realtà ebbe un ruolo fondamentale nella vita del Poeta. Non a caso Gian Luigi Ruggio, biografo e conservatore di Casa Pascoli, ricorda: «Pascoli era un colosso con i piedi d’argilla, privo di qualsiasi senso pratico della vita. L’apporto morale e affettivo della sorella fu fondamentale per l’ispirazione e la creatività per lui che solo se era tranquillo riusciva a scrivere». Dello stesso parere Sara Moscardini, collaboratrice della soprintendenza toscana che ha curato il progetto di digitalizzazione dell’archivio Pascoli e autrice, con Pietro Paolo Angelini, del volume La signorina di Castelvecchio (Maria Pacini Fazzi): «Scrivere di Maria Pascoli è rischioso, non bisogna farsi ingannare dall’immagine stereotipata e non cadere in un tranello: credere di lavorare sulla sua figura ed arrivare invece a parlare del più famoso fratello. Invece, Mariù ebbe una sua decisa e specifica identità». Ora, per i tipi fiorentini di Polistampa, esce un agile e interessante volume (pagine 128, euro 12,00) curato da Andrea Cecconi, Maria Pascoli, gli Scolopi e Mussolini nelle lettere a padre Domenico Mosetti (1927-1950). «Mosetti, superiore della provincia Scolopica Toscana – spiega Cecconi, presidente, tra l’altro, della fondazione Balducci – fu il consigliere spirituale e il confidente dei progetti di Mariù relativi, soprattutto, alla costituzione del tanto voluto Asilo infantile di Castelvecchio dedicato ai genitori». Ma i fratelli Pascoli non erano nuovi a rapporti epistolari e d’amicizia con i padri scolopi coi quali, in particolare Giovanni, ebbe legami sin dalla prima adolescenza come era già stato messo in luce nel saggio di Pasquale Vannucci Pascoli e gli Scolopi. Ad esempio, padre Alessandro Serpieri, rettore del collegio di Urbino, lo avviò, come sottolinea Cecconi, «alla riflessione spirituale e ai primi interrogativi di carattere religioso». Padre Francesco Donati, invece, lo iniziò alla passione per la cultura classica e alla conoscenza di Giosuè Carducci. Padre Geronte Cei, poi, era stato non solo insegnante ma un vero e proprio sostegno affettivo e materiale dopo la tragica vicenda familiare che aveva colpito il futuro poeta, aiutandolo, ben oltre la fine del periodo collegiale, quando trasferitosi a Firenze per studiare all’Istituto scolopico di San Giovannino poté alloggiare presso i parenti del religioso. E nella città del Giglio, Pascoli ebbe altri insegnanti scolopi tra i quali Mauro Ricci, Celestino Zini e Filippo Cecchi. Nel 1892 Pascoli conobbe padre Ermenegildo Pistelli che aveva recensito sulla rivista Cordelia la sua prima raccolta di poesie Myriace. Iniziò così una lunga corrispondenza le cui lettere erano sempre aperte da una frase del Vangelo. Quando nel 1897 Pascoli dovrà recarsi come Commissario Reale presso il Collegio Nazareno di Roma, Pistelli gli presenterà l’allora vicepreside padre Luigi Pietrobono, con il quale nacque un’altra bell’amicizia, alimentata dal comune interesse per Dante, nella quale, però, non mancarono talvolta lunghi periodi di interruzione della corrispondenza dovuti a incomprensioni reciproche. Alla fine di settembre del 1900 Pistelli e Pietrobono si recarono in visita alla casa del poeta a Castelvecchio. «Un privilegio toccato a pochi – ci ha spiegato Stefano Crudeli, custode di Casa Pascoli – fratello e sorella, infatti, avvertivano ogni arrivo dall’esterno come un’intrusione. Se qualcuno andava a trovarli doveva annunciarsi con estremo anticipo e comunque non avevano piacere che l’ospite rimanesse a dormire». I due religiosi, però, furono ospiti più che graditi. Di quel giorno, oltre che alcune foto scattate dal poeta con una delle prime Kodak, ci rimane il racconto che ne fece Pistelli al Giornalino della Domenica, sotto la firma di Omero Redi, uno pseudonimo che usava per interpretare un ragazzo che scriveva al periodico. Raccontava, quindi, di esser rimasto colpito dalla figura del letterato che aveva scambiato (ovviamente, una simpatica invenzione letteraria) per un villico, «un servitore del Pascoli », a causa di quel vestito stretto, la pipa in bocca e quel modo di parlare «saltando da un discorso all’altro, girando su e giù per la stanza senza mettersi a sedere altro che per desinare». Pietrobono (che rimarrà in corrispondenza con Mariù sino alla sua dipartita avvenuta nel 1950) fu poi presente alla tumulazione della salma il 6 ottobre 1912 a Barga. Ne venne fuori un resoconto toccante: «Arrivai la mattina presto, il tempo era triste di nuvoloni grigi. Aspettando l’ora della cerimonia, girai per ritrovare le cose a cui il Pascoli ha dato vita. Ce n’è di tante! Alle due e mezzo cominciò a sfilare il corteo e a piovigginare. Ma nessuno badava all’acqua. Da ogni parte della contrada erano accorsi i contadini, più si procedeva e più se ne trovavano. Non erano venuti a vedere solo ma a salutare il loro poeta. Guardavo nei visi dei fanciulli per leggervi i loro sentimenti, ma più in quello dei vecchi; e scoprivo in tutti che gli volevano bene davvero». © RIPRODUZIONE RISERVATA Letteratura Il poeta ha potuto sempre contare sulla dedizione e la cura della “dolce Mariù”: il suo sostegno morale e affettivo fu fondamentale per l’ispirazione del fratello Recenti studi ne ricostruiscono il rapporto fuori da immagini stereotipate e indagano anche sull’amicizia con alcuni religiosi La signorina di Castelvecchio ebbe una sua specifica identità. Padre Domenico Mosetti fu suo consigliere spirituale Giovanni tenne lunghe corrispondenze con padre Ermenegildo Pistelli e padre Luigi Pietrobono Gli unici graditi ospiti a casa INCONTRO Nella foto, Giovanni Pascoli con la sorella Maria e padre Pistelli. Al centro, un ritratto del poeta da giovane.
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