martedì 4 marzo 2014
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Un Giano bifronte. Per spiegare l’ina­deguatezza della scuola nel fornire agli studenti le necessarie compe­tenze di scrittura e di comprensione dell’italiano, il linguista  Luca Se­rianni  evoca la figura mitologica di Giano: «Su una faccia c’è l’italiano letterario che si studia nei testi dei grandi scrit­tori, l’italiano creativo, per intenderci; sull’altra c’è quello argomentativo che si richiede nelle prove scritte scolastiche». Se poi aggiungiamo l’italiano parlato, l’italiano della lingua digitale, quello dei dibattiti in tv e quello dei giornali; quello dei bugiardini dei medicinali e quello dei testi legislativi ecco che ben si comprende a qua­le grado di babele linguistica sia giunto il nostro Paese e, al contempo, quali siano le difficoltà, sempre più marcate, in cui si dibatte la scuola chiamata a fornire agli studenti le giuste com­petenze per scrivere, leggere e capire qualsiasi tipo di testo.  È questo il tema che si pone alla base del con­vegno che si tiene giovedì 6 marzo a Roma pres­so l’Auditorium Antonianum (ingresso libero ma con iscrizione obbligatoria sul sito www.pear­son. it/convegno-italiano): 'La forza delle paro­le. Le competenze linguistiche del XXI secolo'. Incontro moderato da Stefano Bartezzaghi e che prevede le relazioni di Serianni, Tul­lio De Mauro, Monica Barni e Alessandro Perissinotto. A organizzarlo è la casa editrice Pearson, specializzata in testi scolasti­ci, che nell’occasione presenterà il suo 'Proget­to per l’italiano' con l’idea di fornire ai docenti sia una proposta didattica e metodologica nuo­va, sia un supporto digitale con attività per l’in­segnamento e l’apprendimento personalizzato. Non bastano, dicevamo, i due volti di Giano, e forse nemmeno le nove teste dell’Idra. Quel che però la scuola deve comprendere, stando a tut­ti i relatori, è che per far fronte al crescente nu­mero di studenti che non possiede le compe­tenze linguistiche di base, per dirla con Serianni, «l’insegna­mento tradizionale fondato sul­le regole grammaticali teoriche è diventato obsoleto.

Non serve, per esempio, impiegare ore di scuola per spiegare la differenza fra il complemento di agente e il complemento di causa esisten­te (serve solo per il latino e le grammatiche francese e spa­gnola non la contemplano). È molto più utile concentrarsi sugli aspetti lessicali e semantici. «Tutti noi vediamo quanto sia povero il lessico nelle comunicazioni quotidiane. Allo stesso tem­po è necessario che gli studenti siano edotti al­la scrittura argomentativa attraverso la lettura e la comprensione della struttura di buoni artico­li di giornale o della migliore saggistica del ’900: per esempio penso a Benedetto Croce. A queste competenze si arriva per gradi e un esercizio es­senziale, la cui pratica viene sottovalutata nelle scuole su­periori, è il riassunto. Non c’è nulla di più efficace per attiva­re il corretto circuito di com­prensione del testo, educa­zione  alla sintesi, verifica della padronanza linguisti­ca ». Anche il linguista  Tullio De Mauro  evidenzia la neces­sità di concentrarsi sul signi­ficato e sull’uso delle parole, perché «senza questa cono­scenza troppa parte del­l’informazione che ci è ne­cessaria per vivere oggi rima­ne opaca o compresa in modo distorto. Allo stesso tempo, anche se forse non compete a un linguista il doverlo dire, occorre considerare che il dominio delle parole si acquisisce anche attraverso l’e- sperienza di ciò che le parole significano, nei contesti in cui vengono usate. L’esperienza del­la partecipazione ai vari aspetti della vita socia­le è essenziale al possesso delle parole. Non ba­stano i libri, non basta l’aula, ma bisogna che la scuola (anche il liceo classico) porti gli alunni a organizzare i rapporti con ciò che accade nel mondo reale: quello del lavoro, dell’economia, della tecnica, delle scienze... È attraverso questo aprirsi ragionato e organizzato che troviamo le condizioni per il miglior apprendimento dei vo­caboli, dei loro usi e dei loro significati. Senza di­menticare che risulta un ottimo laboratorio, inte­riore, anche l’esercizio della fantasia attraverso delle buone letture».   Di buone letture e com­petenze lessicali è chia­mato a parlare  Alessan­dro Perissinotto, che ol­tre a essere autore di ro­manzi è docente di Scrit­tura creativa e comunicazione digitale a Torino. E quando si parla di scrittura creativa «non pos­siamo usare gli stessi parametri lessicali utiliz­zati per i testi argomentativi. I singoli vocaboli usati creativamente non si limitano a dire delle cose secondo il significato che troviamo nel vo­cabolario, ma forniscono anche 'sensazioni': si potrebbe dire che servono per dare al piatto del­la narrazione il giusto sapore. Nel contesto del­la scrittura creativa, lo scrittore deve ben cono­scere la grammatica 'normativa' per poterla 'superare' quando risulta necessario per ren­dere vivo il testo. Già lo faceva Manzoni (pen­siamo ai suoi famosi anacoluti) per dare allo scritto il sapore della lingua parlata. «Oggi gli esempi sono molteplici. Pensiamo solo all’uso del 'che' polivalente. Quando presentai il mio primo libro a Elvira Sel­lerio aveva per titolo L’anno in cui uccisero Ro­setta, ma lei per prima cosa lo modificò in L’an­no che uccisero Rosetta : la forma è meno corret­ta, ma il titolo ha guadagnato in efficacia. Ecco, il testo narrativo ha bisogno di accettare la vi­vacità del linguaggio parlato. La nostra epoca, ve­de un’accelerazione senza precedenti nei cam­biamenti degli usi linguistici, anche in conside­razione del fatto che i nuovi mezzi di comuni­cazione sono più globali, per questo credo che la grammatica debba saper essere normativa senza voltarsi dall’altra parte di fronte alle in­novazioni ».

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