mercoledì 16 dicembre 2009
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Il mondo del calcio visto dal Parma del “presidente ragazzino” Tommaso Ghirardi (classe 1975) è ancora un gran bel mondo. Un set calcistico a misura d’uomo che rimanda a Novecento di Bernardo Bertolucci, in cui gli uomini, i valori e gli odori del campo sono quelli forti della provincia sana e sanguigna. Ritratto salutare del suo giovin patron che, un passo alla volta, con programmazione manageriale impartitagli nell’azienda di famiglia (la Leonessa) e il sorriso della gente allegra che il ciel l’aiuta, ha riportato il Parma al fianco delle tre “grandi sorelle” - 4° posto, zona Champions - e riempito il Tardini - «18mila spettatori in media e 14mila abbonati» - come nell’era splendida e famelica dei Tanzi.Un’era scandalosa quanto quella di Calciopoli.«Già, ma io ho avuto la fortuna di essere arrivato anche dopo la seconda tempesta e quindi posso sempre dire non c’ero, dunque non so...».Da tre anni e mezzo nel grande calcio (prima era a capo del Carpenedolo, club di Seconda divisione che ancora controlla) che Parma si è ritrovato per le mani?«Era un club sovrastimato per immagine e obiettivi che non erano assolutamente proporzionali alle possibilità d’investimento e tanto meno al bacino d’utenza di 300-350 mila abitanti. Pertanto ho dovuto risanare e razionalizzare le risorse».Nel frattempo però c’è stato anche l’amaro ritorno in B dopo 19 anni.«Una sconfitta che mi ha fatto male, ma la retrocessione è stata anche un bagno di umiltà necessario. Come avevo previsto, se avessimo subito vinto il campionato cadetto ci sarebbe stata sicuramente la possibilità di un ritorno alle origini. Quelle sane e contadine del calcio di provincia, in cui prima di tutto conta la determinazione e lo spirito di sacrificio che io conosco bene per averlo imparato presto dai miei». «La sua famiglia, nonni compresi, vengono ancora al Tardini?«Certo, li ho contagiati tutti. La presidenza del Parma per me è anche un lavoro, ma prima di tutto una passione che cerco di trasmettere a tutte le persone che fanno parte di questa società, fino ai tifosi che mi ricambiano volendomi bene e stimolandomi a fare sempre meglio».Una passione che non si smorza neppure dinanzi a “sceneggiate” come quelle del presidente del Genoa Enrico Preziosi?«Caso archiviato, anche se Preziosi mi deve ancora spiegare perché si è comportato in quella maniera alla fine di Genoa-Parma. Ma è meglio parlare di calcio...».E allora parliamo del tridente più giovane d’Europa che è alla base dei successi del Parma.«Abbiamo trovato la giusta miscela tra giocatori giovani ed esperti. Il progetto da qui in avanti prevede di far crescere e valorizzare i talenti in casa nostra come faceva quel Parma degli anni ’90 che si imponeva in Italia e in Europa». Nevio Scala come Guidolin?«La radice provinciale è la stessa. E quella accomuna anche me a Guidolin. In più ritengo che ci siano delle affinità elettive tra i protagonisti di ieri e di oggi, partendo proprio dal tridente. In Biabiany rivedo Asprilla, in Paloschi Sandro Melli e Lanzafame forse è un giovane Crespo».E il Panucci di Parma chi è?«Il primo vero campione che mi sono potuto permettere. E quando parlo di campione distinguo il giocatore che ha vinto tanto da quello che campione ancora non è proprio perché deve dimostrarlo con i successi in carriera. Panucci da questo punto di vista è un fuoriclasse e la sua grinta e la voglia che ha ancora a 36 anni fa invidia a tanti ragazzini».Prima di Panucci si era permesso anche un signor allenatore come Claudio Ranieri.«Ci ha salvati dalla B, ha valorizzato al massimo Giuseppe Rossi e giovani del vivaio come Cigarini che poi abbiamo venduto al Napoli per 11 milioni. Alla Juve Ranieri ha fatto bene e forse meritava ancora fiducia. Per come sta guidando la Roma dimostra che è ancora uno dei migliori allenatori nel panorama internazionale».Presidente, gioca ancora a calcio durante la settimana?«Tutti i lunedì con gli amici, faccio sempre il “Rooney”. Prandelli? Qualche volta viene anche lui, ma è ancora un po’ arrabbiato con noi per la vittoria di Firenze - sorride - . Al Franchi siamo stati davvero grandi, Guidolin ha messo in campo la squadra perfetta».Rimanendo a Guidolin: ha detto al “Corriere della Sera” che dopo Parma preferisce andare all’estero per respirare un po’ d’aria sana ...«Lui è nel calcio da troppi più anni di me e penso che se fa questo tipo di considerazione è perché l’esperienza lo porta ad avere una visione globale delle problematiche del nostro sistema calcio».Qual è la piaga peggiore di questo sistema?«L’eccesso di denaro che circola, una specie di “bonzo” che spinge troppe società alla “finanza creativa” in cui i costi sono sempre molto al di sotto dei ricavi. Bisogna smetterla, anche perché questi sono tempi in cui è meglio non imbarcarsi in imprese avventurose».Ma se un allenatore continua a guadagnare 11 milioni l’anno, come Mourinho all’Inter, sarà dura frenare il trend. A proposito che ne pensa del portoghese?«Esiste un Mourinho “speciale”, personaggio costruito ad arte dai media che perciò ne pagano anche le conseguenze di certe sue impulsività e uno molto normale come quello che è venuto a stringermi la mano alla fine di Inter-Parma e che si è complimentato con la nostra squadra in maniera molto educata. Comunque penso che l’Inter vincerà ancora lo scudetto».E il traguardo del Parma?«Portare avanti questo progetto, renderlo sempre più solido e permettere alla città di venire allo stadio per godersi prima di tutto uno spettacolo. Poi c’è un altro obiettivo importante da realizzare e di cui si occupano mia sorella Susanna e il nostro amministratore delegato Pietro Leonardi: stiamo organizzando una Fondazione Parma che cercherà di dare una mano a quelle persone che hanno più bisogno. E anche questo è un modo per tornare alle origini».
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