venerdì 5 giugno 2015
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Aveva nove anni, Jorge Mario Bergoglio, quando il “suo” San Lorenzo vinceva il campionato argentino, interrompendo un lungo dominio delle due grandi, Boca Juniors e River Plate. Il Ciclón  – così era ed è chiamato il club fondato a inizio secolo dal padre salesiano Lorenzo Massa – vinse in patria e incantò l’Europa, in un tour nel quale prese a pallonate alcuni degli squadroni più forti dell’epoca: 4-1 all’Atletico Aviación (l’attuale Atletico Madrid), 7-5 e 6-1 a due selezioni spagnole, 9-4 al Porto.  Valanghe di gol, ma anche uno stile di gioco innovativo, fatto più di brevi scambi in velocità che della classica «palla lunga e pedalare». Là davanti, un trio di attaccanti conosciuti come il “Terceto de Oro”: Rinaldo Martino (che poi andò alla Juventus), Armando Farro e René Pontoni, le cui giocate spettacolari sono rimaste impresse nella mente di Bergoglio. «Chissà se qualcuno di voi riuscirà a fare un gol come quello di Pontoni», disse il 13 agosto di due anni fa, davanti a campioni come Messi e Pirlo, Higuain e De Rossi. Il riferimento era a una signora rete contro il Racing di Avellaneda, in una partita stravinta per 5-0 dal San Lorenzo: palla controllata di petto al limite dell’area, spalle alla porta, pallonetto a liberarsi di due difensori e tiro imparabile, uno dei suoi.  Il figlio di Pontoni, che si chiama René come il padre, aveva scritto al Papa, per ringraziarlo delle belle parole. In risposta, aveva ricevuto un invito a casa Santa Marta. Lunedì pomeriggio, l’incontro. «Commovente, sarà durato tre quarti d’ora – spiega il 65enne argentino –. Abbiamo parlato un po’ di tutto. Anche di calcio, ovviamente. Ha raccontato di quando andava con la famiglia al “Gasometro”, lo stadio del San Lorenzo, e si fermava nelle vicinanze a mangiare la pizza. E ha detto che Pontoni e i calciatori dell’epoca erano un punto di riferimento per lui. Ha ricordato un altro gol di mio padre, contro il Ferro Carril Oeste, in rovesciata». Prodezze del genere per “Huevito” Pontoni (chiamato così perché da bambino, assieme al fratello, andava a vendere le uova per portare qualche soldino a casa) erano normale amministrazione: non a caso nel 1975, un sondaggio del prestigioso giornale sportivo “El Grafico” lo incoronò miglior centravanti argentino di tutti i tempi. Vinse meno di quanto il suo talento avrebbe meritato, perché il primo mondiale organizzato dopo la guerra fu solo nel 1950, e la Selección, a causa di una crisi interna, non partecipò. Pontoni finì per rifiutare un contratto astronomico col Barcellona, pur di restare nella sua terra, mentre la sua riserva in Nazionale, un certo Alfredo Di Stefano, prese il volo per Madrid e rese grande il Real.  Fece per qualche tempo il dirigente sportivo, l’ex campione del San Lorenzo, poi aprì una pizzeria, “La Guitarrita”, a Buenos Aires, dove oggi lavora suo nipote (che ovviamente si chiama René, nome tramandato da quattro generazioni), ed è pieno di articoli e cimeli dell’epoca. Tra questi, anche un vecchio pallone che Pontoni-figlio ha portato in valigia, per mostrarlo a papa Francesco. «Ha detto che una guardia lo informa dei risultati di calcio – racconta –, ma che le partite ormai non riesce più a vederle». Mentre quel San Lorenzo delle meraviglie, annata 1946, non se lo sarebbe mai perso per niente al mondo.
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