mercoledì 6 settembre 2017
Lo Sporting Argenta, società iscritta al campionato di Promozione emiliano-romagnolo, può contare su una rosa di una trentina di ragazzi composta quasi esclusivamente da richiedenti asilo africani
Promozione, i ragazzi richiedenti asilo dello Sporting Argenta

Promozione, i ragazzi richiedenti asilo dello Sporting Argenta

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Famory non ha i documenti. Viene da un villaggio del Mali soffocato dall’occupazione dei gruppi jihadisti e dall’intervento militare francese, ha attraversato il deserto in balia dei trafficanti d’uomini, in Libia si è affidato alle gelide mani degli scafisti. Ricorda con precisione la data del suo sbarco a Palermo: 16 dicembre 2016. Lui, assieme ad altre centinaia. Sono persone, ma sono denaro per i trafficanti e numeri per le statistiche di Frontex, benzina per gli incendiari della paura e bersagli dei piromani per calcolo. Famory ha diciannove anni e non ha i documenti: non può essere identificato. Oggi resta ai margini. Famory però è regolare sul territorio italiano, i documenti con sé non li ha ma solo perché li ha dimenticati nella struttura in cui vive e, per questo, non può essere riconosciuto dall’arbitro né andare a referto. Deve sedersi in tribuna. Famory è uno dei ragazzi dello Sporting Argenta, società iscritta al girone C del campionato di Promozione emiliano-romagnolo, la cui rosa - una trentina di ragazzi, tutti giovanissimi: il più anziano ha 23 anni - è composta quasi esclusivamente da richiedenti asilo. Siamo nel Ferrarese, a Santa Maria Codifiume, frazione appunto del comune di Argenta, un’ora e spiccioli a sud di Goro, dove un anno fa le barricate degli abitanti bloccarono la strada ai pullman del ricollocamento dei profughi. Qui, al contrario, da poche settimane ha preso il via un progetto sociale e calcistico unico a livello di Figc, e ogni due domeniche arriveranno i pulmini con i giocatori della squadra di casa. Sono migranti di seconda accoglienza, vivono in strutture gestite da cooperative sociali di diverso orientamento che operano tra Bologna e la vicina Castello d’Argile. Hanno accolto con entusiasmo l’idea di Bruno Patelli, 64 anni, una vita nel calcio dilettantistico e giovanile, motore dell’iniziativa: «Lo Stato accoglie e non è poco - racconta - ma si ferma a questo, e così spesso i ragazzi si trovano parcheggiati in città e paesi, smartphone in mano, senza nulla che li possa includere come cittadini. Abbiamo preso a cuore questa finalità, con un progetto che è sia sociale che sportivo: qualcuno grazie a noi non finirà in strada, qualcun altro magari avrà una possibilità. Nel frattempo, insegniamo loro a comportarsi stando alle regole: in que- sto, lo sport è più efficace rispetto all’imposizione non seguita dalle spiegazioni».

Quattro allenamenti ogni settimana a Bologna, poi le partite la domenica a Codifiume. Per dare un senso alle settimane. I ragazzi provengono da Burkina Faso, Camerun, Congo, Costa d’Avorio, Ghana, Mali, Nigeria, Nuova Guinea, Senegal e Sierra Leone. Hanno storie diverse eppure con tratti simili almeno in un aspetto, l’attraversamento delle rotte della disperazione nel Sahara e quello del Mediterraneo, per conquistare il presente di un limbo che chissà quanto durerà. Hanno tutti permesso di soggiorno, carta d’identità e codice fiscale, studiano l’italiano, si riconoscono e iniziano ad integrarsi anche fra di loro. Non è scontato: una squadra è un microcosmo di individualità ed esperienze di vita. La loro Africa è un coacervo di diversità, culture, etnie, religioni, contrasti ancestrali. L’inclusione qui è doppia: nasce all’interno del gruppo ed è chiamata a sublimarsi all’esterno della comunità, ecco perché, in rosa, c’è anche un ragazzo italiano, Federico, e di frequente ad allenarsi con la squadra vengono giovani di altre società.

Li porta con sé Valerio Minguzzi, preparatore atletico e propugnatore, assieme a Patelli, di un progetto che ha trovato a Santa Maria Codifiume un gruppo di persone pronto ad accoglierlo, vale a dire la dirigenza dell’ex squadra di un paese che, dopo la fusione del club con il vicino Molinella, rischiava di perdere un campionato prestigioso. La matricola federale è rimasta, così come presidente è rimasto Marco Montanari, solo che oggi la squadra ha un altro nome, la compagine sociale si è ampliata ed è rinata con un progetto che potrebbe rivelarsi pilota per altre realtà. I dirigenti sanno comunque che c’è un prezzo da pagare e non s’illudono; è il razzismo latente che, su qualche campo, inevitabilmente si manifesterà: «Siamo consapevoli che in tanti ci guarderanno male, che durante la stagione non mancheranno le provocazioni. Abbiamo cercato anche di preparare i ragazzi». Capiterà. Così come capita di trovarsi di bloccarsi in una sorta di razzismo burocratico, termine improprio che però ben descrive le difficoltà di tesseramento cui deve far fronte lo Sporting Argenta: «I problemi sono numerosi. Nonostante le spinte della Fifa e del progetto Fami (Fondo asilo migrazioni integrazione) del Coni, a livello federale il riconoscimento dei requisiti non è sempre facile. E infatti alcuni dei nostri ragazzi non potranno giocare le prime partite». Come Youssuf, che è ivoriano, non è ancora maggiorenne e al quale manca una firma per rendere efficace il tesseramento: è quella del tutore, che in questi giorni si trova fuori città, in ferie. Domenica lo Sporting Argenta ha debuttato in campionato. Pranzo tutti assieme sotto la tensostruttura dell’antistadio (pasta al pomodoro, affettato di pollo e verdure, «perché il nostro obiettivo è anche insegnar loro ad alimentarsi da atleti e condurre una vita sana»), poi una passeggiata sino al bar del paese. Che sta alla finestra: incoraggiamenti, qualche sguardo interrogativo, ma anche rari segni di insofferenza. Poi la preghiera per i praticanti, invero una minoranza. L’ingresso in campo, le strette di mano, il fischio d’inizio. Di fronte il Ravarino, che in venti minuti è avanti 3-0. Nessun dramma per dirigenza e tecnici: «I ragazzi non avevano mai giocato in una squadra. Tatticamente, è come avere a che fare con degli esordienti... un po’ cresciuti, ma hanno voglia di migliorare e lo faranno in poco tempo». Arriva però il primo gol: lo segna Jabi Alami, il numero 9, un lungagnone di quasi due metri che qui per tutti è “Spillo”. Finisce 5-2 per gli ospiti. Arriverà, prima o poi, anche la prima vittoria. Ma la più importante è giunta già al fischio d’inizio del campionato.

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