sabato 14 ottobre 2017
Il calciatore Cedric Anselin, ex compagno di squadra di Zidane: «Ho sconfitto la depressione. Oggi voglio essere d’esempio per gli altri»
L'ex calciatore francese Cedric Anselin

L'ex calciatore francese Cedric Anselin

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Promessa del calcio. Nazionale Under 21 francese. Compagno di squadra di Zinedine Zidane ai tempi di Bordeaux. Una carriera segnata dagli infortuni. Tante complicazioni dentro e fuori dal campo. La depressione come compagna di viaggio. Due tentativi di suicidio. Oggi Cedric Anselin ricopre la carica di ambasciatore per la salute mentale nel Regno Unito. Sostiene che la «vita sia bellissima». Nonostante abbia cercato di farla finita. Per sempre. «Ci ho provato la prima volta nel 2012. Non riuscivo a ottenere un ingaggio. Presi delle pillole e mi trovò la mia ex moglie. Nonostante tutti gli sforzi mi sentivo rifiutato dal mondo del pallone - racconta l’ex giocatore di Ligue One e Premier -. Il secondo tentativo avvenne nel 2016. Dopo la fine del mio matrimonio. Lynsey era la mia roccia. Rappresentava tutto. Abbiamo sofferto insieme. Ma io non le raccontai cosa mi stesse passando per la testa. Il disagio contagiò anche i miei cari. Non ero felice. Così preparai un cappio per impiccarmi in soffitta. Con i sogni calcistici che si erano sbriciolati ». Una decisione presa a mente fredda. Preparata. Studiata. «Avevo pianificato 30-40 sistemi differenti per togliermi la vita. Modalità veloci. Senza troppa sofferenza. Nella mia testa immaginavo chi avrebbe partecipato al funerale e quante persone avrebbero potuto piangere per la mia dipartita - spiega il francese, per un malessere proveniente da lontano -. La depressione è stata il mio segreto per 14 anni. Mi ha colpito nel 2001 dopo aver lasciato il Norwich City FC su decisione di Nigel Worthington. Sono stato in silenzio perché ne ero spaventato. Non volevo che la famiglia, gli amici o tifosi ne venissero a conoscenza. Adesso invece ho deciso di rivelare tutto. Ho degli splendidi bambini che voglio veder crescere e essere orgogliosi di me. Mi piacerebbe diventare un esempio per loro».

Anselin non si vergogna, ora, a raccontare ciò che gli è successo. Crede sia il modo migliore per assistere chi si trova in difficoltà: «Parlo quotidianamente della mia espe- rienza. Per soccorrere chi pensa al suicidio. Voglio dir loro che non sono soli. Ci sono dei centri di salute fantastici nel Regno Unito. Il poter aiutare gli altri mi dà la soddisfazione e l’energia per raggiungere il mio scopo: ridurre il numero di persone che considerino di togliersi la vita. È meglio che realizzare un gol in uno stadio esaurito ». Ecco la consapevolezza di chi vuole essere felice. Di nuovo. Come magari dopo «il trionfo in campionato col Bordeaux nel 1999 o la rimonta nei quarti di finale della Coppa Uefa contro il Milan nel 1996», quando i Girondins si imposero 3-0 dopo aver perso l’andata per 0-2. D’altronde Cedric nutre anche alcuni ricordi positivi legati al calcio. Come quando si riferisce a Zidane, per il quale spende solo parole di apprezzamento: «Un ragazzo a modo. Umile. Mi passava a prendere all’accademia di Bordeaux perché ai tempi non possedevo una macchina. Zizou è la persona più generosa che abbia mai incontrato. È stato un piacere giocare con lui».

Oggi Anselin sorride alla vita. Vuole amarsi nuovamente dopo tutti gli anni nei quali ha sofferto. Calciatore-depressione sembra un binomio quasi impossibile. Un ossimoro. In realtà si tratta di una malattia subdola che può colpire tutti. Senza distinzione di sesso o classe sociale. Professionisti del pallone compresi. L’ultima tragica dimostrazione è Gary Speed, l’ex ct del Galles, che il 27 novembre del 2011 è stato trovato impiccato nel garage della sua abitazione.

Inizialmente senza un apparente motivo. Tant’è che si era pensato anche ad un possibile incidente. Poi le ammissioni della moglie. Che quattro giorni prima del drammatico avvenimento aveva ricevuto dal marito un messaggio in cui minacciava di farla finita. Speed era una Leggenda nel Regno Unito. Da ct aveva portato la Nazionale dal 117° a 45° posto nel ranking Fifa. Nessuno si sarebbe immaginato un finale simile. Eppure evidentemente felice non lo era. Come l’ex giocatore della Juventus, ora dirigente della società, Gianluca Pessotto, che la mattina del 27 giugno del 2006 si gettò dalla sede sociale del club stringendo tra le mani un rosario. In molti si domandarono il perché di quel gesto. Successivamente si scoprì che il bianconero era in cura per depressione. Del Piero, Cannavaro, Ferrara e Zambrotta, dopo aver preso un permesso speciale e essere andati a trovarlo in ospedale in seguito all’accaduto, gli dedicarono la vittoria sull’Ucraina nel Mondiale tedesco che vide gli Azzurri laurearsi Campioni del Mondo.

Oggi Pessotto sta bene e ricopre con ritrovato entusiasmo i suoi compiti all’interno della famiglia juventina. Della quale ovviamente fa parte anche Gianluigi Buffon. Probabilmente il miglior portiere della storia del calcio. I cui problemi ipoteticamente, ad un’occhiata superficiale, dovrebbero solo essere quelli di parare gli attacchi avversari. «Sono stato in cura da una psicologa. Dal dicembre 2003 al giugno del 2004. Non ero soddisfatto della mia vita e del calcio», si legge sull’autobiografia del campione italiano. Dopo essere stato inghiottito da «un buco nero dell’anima» Buffon è risalito. E forse è tornato più forte di prima.

Chi invece potrebbe aver scelto di farsi aiutare troppo tardi per riprendere le redini di una carriera che sarebbe potuta essere ancor più che sfavillante è Adriano. Il brasiliano dell’Inter dopo la morte del padre iniziò a bere, affogando nell’alcol le proprie frustrazioni. «Era la soluzione per evadere dai vari problemi. Ero depresso e soffrivo anche di insonnia », le parole rilasciate dall’Imperatore a Globoesporte, in un’intervista non a caso realizzata nei giorni successivi rispetto alla morte del portiere tedesco Robert Enke. Che a soli 32 anni si era suicidato gettandosi sotto un treno nei pressi di un passaggio a livello della città di Eilvese. Adriano non è stato il solo nerazzurro a soffrire di depressione. Matias Almeyda, nel libro Alma y Vida, svelò che per evitare di finire di nuovo in coma etilico dopo aver ingurgitato 5 litri di vino, avesse dovuto curarsi con le cosiddette “pillole della bontà”, ossia antidepressivi e ansiolitici. Si potrebbe anche citare Agostino Di Bartolomei. Campione tra gli anni ’70 e ’80 di Roma e Milan, che mise fine alla propria vita sparandosi al petto.

Lasciò scritto: «Mi sento chiuso in un buco», con probabile riferimento al fatto che non riuscisse a rientrare nel mondo del calcio. Non c’è la certezza che anche lui fosse depresso ma chiaramente l’estremità del suo gesto lo fa supporre. Come sostiene Anselin i «calciatori si sentono invincibili, ma non lo sono». Per questo l’importante è avere il coraggio di «chiedere aiuto». Ricordandosi sempre che «non si è soli». E soprattutto che «la vita è bellissima».

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