lunedì 7 novembre 2016
Cugino del primo ministro Bettino, all'alba dell'Unità d'Italia, mediò gli attacchi laicisti alla Compagnia
Padre Luigi Ricasoli

Padre Luigi Ricasoli

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Gesuita da sempre avverso alle tesi risorgimentali e strenuo difensore dei diritti della Chiesa (a cominciare dal potere temporale) di fronte alle istanze provenienti dalla cultura liberale (spesso massonica), ma anche uomo capace di conciliare e non dividere gli animi e le coscienze della sua Firenze, prima dominata dagli Asburgo Lorena ai tempi del Granducato e poi annessa, grazie ai Savoia, al Regno d’Italia.È la trama e la parabola di azione in cui si svolse l’esistenza spesso avventurosa e turbolenta di Luigi Ricasoli (1801-1876), il religioso toscano, di nobili origini, cugino del più noto statista e futuro presidente del Consiglio (il secondo dopo Cavour) nel Regno d’Italia, il “barone di ferro” Bettino. E di questo originale figlio di Sant’Ignazio, di cui ricorrono proprio oggi i 140 anni dalla morte, rimane ancora viva, seppur impolverata dal tempo la traccia e lo zelo pastorale di un uomo sempre attento agli ultimi, un vero “consolatore degli afflitti”.

La vicenda di Luigi Ricasoli non fu l’unico caso in cui il fattore “Risorgimento” rappresentò una vera e propria “causa di famiglia”: gesuiti e dal temperamento molto più combattivo del confratello toscano, negli stessi anni, erano Luigi Taparelli D’Azeglio (fratello dello statista Massimo), Francesco Pellico (fratello di Silvio) e Giuseppe Bixio (fratello del generale garibaldino Nino). Ricasoli nasce a Firenze il 2 ottobre 1801 e riceve dai genitori Pier Leopoldo e Lucrezia un’educazione cattolica che lo porterà a entrare nel 1826 nella Compagnia di Gesù. Affascinato dagli esempi di vita dei gesuiti (ne era stato allievo nelle scuole di Reggio Emilia), ritornati in auge dopo la ricostituzione dell’Ordine nel 1814, entra nel noviziato di Sant’Andrea al Quirinale, a Roma. Nel 1830 a Ferrara viene ordinato sacerdote dall’arcivescovo della città, il cardinale Filippo Filonardi. Esemplare è il suo comportamento durante i moti mazziniani del 1830-31 e il suo prodigarsi a favore degli afflitti e dei bisognosi. Ma è negli anni trascorsi a Roma (1833-42), collaborando col generale dei gesuiti, l’olandese Jan Roothaan, che darà la migliore prova di sé, prestando aiuto concreto e consolazione spirituale ai malati di colera. Col ritorno a Firenze, padre Luigi offrirà per circa 26 anni (dal 1850 al 1876, anno della morte) un apostolato dai tratti in un certo senso speciali: ottimo cappellano delle carceri e degli ospedali oltre che eccellente direttore spirituale nei seminari diocesani.

Uno stile di annuncio cristiano che non lascerà indifferente, soprattutto per le sue doti di «buon confessore», l’allora arcivescovo di Firenze Ferdinando Minucci di cui diventerà uno degli uomini di fiducia. Ricorrerà spesso ai consigli spirituali di Ricasoli, soprattutto per la realizzazione di delicate missioni, il gesuita e letterato, futura grande firma di La Civiltà Cattolica, Antonio Bresciani. È proprio in questi anni che precedono il passaggio della Toscana da Granducato a parte integrante del Regno d’Italia che padre Luigi sogna di realizzare un «seminario nazionale toscano» in cui si possano formare i futuri presbiteri. Un sogno che non verrà mai realizzato.

Padre Ricasoli si farà, sempre in questo periodo, promotore a Firenze di tanti opuscoli in difesa del magistero della Chiesa (minacciato già allora da molte disposizioni anti-clericali e filo gianseniste, volute dall’ultimo granduca di Toscana Leopoldo II) e principale sponsor di La Civiltà Cattolica, fondata proprio nel 1850 per difendere l’azione dell’ultimo papa-re Pio IX. Arriva il 27 aprile del 1859 e il granduca Leopoldo II è costretto all’esilio. Assume il potere in Toscana Bettino Ricasoli. Padre Luigi, scrive il suo biografo, il gesuita Pietro Galletti, è visto come «pietra di intralcio» ai disegni di un’Italia unita sotto i Savoia e viene percepito con sospetto da molti circoli massonici. Su decisione del Governo provvisorio toscano gli viene imposta la domiciliazione forzata nel convento francescano della Verna: saranno questi i mesi (novembre-dicembre 1859) in cui il religioso sperimenterà una sorta di esilio dalla sua patria (Firenze) e protesterà con l’illustre cugino (allora ministro dell’Interno del Governo provvisorio) la sua «innocenza» per i torti subiti.

Grazie alla mediazione del “barone di ferro” padre Luigi tornerà ben presto ai suoi antichi ministeri di padre spirituale a Firenze. L’anno successivo nel 1860 padre Ricasoli caldeggerà la nascita di un «pia associazione contro la bestemmia» promossa dal confratello Domenico Di Negro e dall’illustre domenicano Agostino Bausa (poi arcivescovo di Firenze) e nata per contrastare oggi come allora un fenomeno considerato come il “gran peccato” della Toscana. Con l’occupazione di Roma da parte dei piemontesi nel 1870 e con la conseguenza di un Pio IX costretto a divenire il Papa «prigioniero in Vaticano», il gesuita fiorentino è chiamato a giocare un ruolo centrale per la vita del suo Ordine: molti padri sono infatti visti con sospetto in quanto “papisti” nella neonata Capitale d’Italia e quasi “sollecitati” (tra coloro che premono per la cacciata vi è anche Marco Minghetti) a lasciare velocemente la Città eterna. Sarà infatti padre Ricasoli a individuare una dignitosa e tranquilla (soprattutto lontana dalle ingerenze piemontesi) dimora, “Villa San Girolamo” a Fiesole, all’allora superiore generale della Compagnia il belga Pietro Becks; toccherà sempre a padre Luigi trovare e assicurare a Firenze una sede e una casa per i padri scrittori di La Civiltà Cattolica, destinati a rimanervi dal 1870 al 1887.

Negli anni che precedono la sua morte, sarà essenziale l’assistenza quasi una «paternità spirituale» con cui seguirà il caso del confratello Carlo Maria Curci, un «vero spirito ribelle», principale ispiratore e fondatore di La Civiltà Cattolica. Padre Ricasoli muore alle 8.30 dell’8 novembre del 1876 e viene sepolto per decisione dei familiari nella cappella gentilizia del suo casato all’interno della certosa di Firenze. A 140 anni dalla sua scomparsa sopravvive ancora – come ha ben scritto Pietro Galletti – il tratto umile e spirituale di un uomo che non solo fu in grado di conciliare e non esacerbare gli animi delle persone più ostili al suo Ordine, ma soprattutto di far accettare ai suoi concittadini la massiccia “invasione” per un lungo arco di tempo dei gesuiti nella sua amata Firenze.

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