venerdì 19 luglio 2013
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Auximon per i greci, Auximum per i romani, Uxama per i celti... città dei senza testa per i marchigiani. Osimo si presenta al visitatore con una storia millenaria che ha lasciato tracce un po’ ovunque, lungo le colline della marca anconetana a pochi chilometri dalla riviera del Conero. Una città dal doppio volto: uno pagano, nascosto nei sotterranei delle sue grotte, l’altro cristiano, con le tante chiese che costellano il tessuto urbano dalla curiosa forma oblunga. Due volti che si ricongiungono nella cerchia di mura, per buona parte medievali, tranne nel tratto settentrionale dove lasciano il posto a quelle romane. L’appellativo "senza testa" dato a suoi abitanti si riferisce invece alle 12 grandi statue di età imperiale, provenienti dal Foro e rinvenute tutte acefale, che oggi si possono vedere nell’atrio del Palazzo comunale. Secondo una leggenda, un paio di teste mancanti si troverebbero nel Castello Sforzesco a Milano, portate qui dal condottiero Giangiacomo Trivulzio alla fine del 1400 come bottino di guerra.Tante le storie e le leggende che si sono incrociate qui nel cuore delle Marche. Osimo è stata un po’ un crocevia, soprattutto per via di numerosi personaggi (aristocratici, cardinali) legati alla corte papale che, dalla fine del 1500, commissionarono dipinti e sculture ai più celebri artisti dell’epoca. Una mirabile sintesi di questo "incrocio barocco" la offre una mostra da poco inaugurata, Da Rubens a Maratta (fino al 15 dicembre). Il primo nome in cartellone è proprio quello di Peter Paul Rubens, presente con un arazzo tratto da un suo cartone: l’Assunzione del Museo diocesano di Ancona. «È solo un esempio dei tanti, grandi maestri che lavorarono o mandarono qui le loro opere» spiega Vittorio Sgarbi, curatore della mostra, che al Barocco nelle Marche ha già dedicato altre rassegne nei cosiddetti "centri minori" come San Severino o Caldarola (ma sta già pensando ad una prossima mostra nella provincia più a nord, Pesaro-Urbino, da dedicare a Federico Barocci). «Le Marche non sono affatto "provinciali" - continua -. Questa è, a tutti gli effetti, una regione che ha dato i natali ad artisti "internazionali" per l’epoca come Raffaello, Barocci, ma anche Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato o Carlo Maratti». Proprio con quest’ultimo si chiude il percorso della mostra: non altrettanto noto, oggi, come Raffaello o Rubens, è stato in realtà ugualmente importante, soprattutto per gli sviluppi della pittura a Roma nel Settecento. Maratti (o Maratta) era nato infatti nel 1625 a Camerano, piccolo centro a metà strada tra Ancona e Osimo: morì a Roma nel 1713, dopo una lunga carriera che lo vide caposcuola indiscusso e artista favorito di numerosi Pontefici. E adesso la sua città ha deciso di celebrare i 300 anni dalla morte con un’altra mostra parallela con documenti originali e incisioni, all’interno della chiesa di Santa Faustina dove il pittore si fece seppellire con la moglie e la figlia.La piccola Camerano ha in comune con Osimo un secondo volto, quello più nascosto: anche qui sotto si estende un fitto reticolo di grotte in arenaria, scavate probabilmente dai Romani, che colonizzarono il Piceno nel II secolo a.C. La funzione originaria di questi cunicoli era di approvvigionamento idrico: proprio fuori Osimo si trova la Fonte Magna, che garantiva acqua alla città. Poi, a partire dal Medioevo, divennero luogo di rifugio per gli abitanti, uso che si è protratto fino alla Seconda guerra mondiale. «Nel 1944, per sfuggire a bombardamenti, in molti vissero nascosti qua sotto per intere settimane» racconta Lucia Rocchi, che lavora come guida accompagnando i visitatori nelle grotte del Cantinone, fino a dieci metri di profondità. «Sono però scarse le fonti - aggiunge - che ci possano dire qualcosa su chi le ha scavate, e a partire da quale epoca. Un silenzio non del tutto incomprensibile, se pensiamo alle ragioni di segretezza, come salvaguardare nascondigli e vie di fuga per la comunità in situazioni di pericolo». Non mancano, però, gli indizi: in una parete sono stati scolpite croci, ma soprattutto alcune immagini di monaci tra cui un san Francesco mentre riceve le Stimmate. E di nuovo il volto cristiano torna a sostituirsi a quello pagano, in questi cunicoli riutilizzati come cappelle ipogee dove non mancano tracce di altari rudimentali. Proprio sopra un punto delle grotte si trova infatti il convento dei Francescani, la cui chiesa è stata poi intitolata al santo patrono della città, Giuseppe da Copertino, protettore degli studenti e celebre per i suoi voli. «Era leccese - racconta il sindaco di Osimo, Stefano Simoncini - ma si trasferì qui verso la metà del 1600, trascorrendo i sei ultimi anni della sua vita in totale reclusione. Ora, in Comune, stiamo organizzando le celebrazioni per i 350 anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1663».Uscendo da Osimo e andando a sud, in un suggestivo percorso tra arte e fede, una tappa obbligata è il celebre Santuario di Loreto, dove, nella Sala del Tesoro, è stata allestita una sezione che racconta la storia della basilica, con aggiunte e ingrandimenti che si sono protratti per vari secoli. L’ultima puntata, infine, è nella Pinacoteca civica di Fermo: è qui che il giovane Rubens inviò nel 1608 l’Adorazione dei pastori. Un’opera che gli fu chiesta a Roma dal Padre generale dei Filippini, Flaminio Ricci; è stato merito di Roberto Longhi, nel 1927, scoprire questo capolavoro, allora nella chiesa di San Filippo Neri. Ma all’epoca il Barocco (per non parlare di Caravaggio) era ancora lontano dall’essere "riabilitato".
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