martedì 5 settembre 2017
Il comico, nelle vesti di regista, presenta a Venezia un corto in cui racconta i centri giovanili delle parrocchie dal punto di vista dei ragazzi
Giacomo Poretti: «Quel cinema del mio oratorio»
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«I o del mio oratorio ricordo le partite a calcio e il teatro che aveva messo su don Giancarlo. Ancora oggi lo vivo nell’esperienza di mio figlio Emanuele che ha 11 anni ». È con gli occhi e le voci dei ragazzi di oggi che Giacomo Poretti racconta una realtà importante nel cortometraggio Cresciuto in oratorio che verrà presentato al Lido di Venezia nello spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo all’Hotel Excelsior il 7 settembre alle 15. Presenti all’incontro condotto da Francesca Fialdini oltre all’attore e regista, don Samuele Marelli, presidente di Odl - Oratori Diocesi Lombarde (che hanno prodotto il corto insieme alla Fondazione Ente dello Spettacolo), e Davide Van De Sfroos, il cantautore che mostrerà il backstage delle band degli oratori che hanno aperto il suo concerto a San Siro l’estate scorsa.

Giacomo Poretti, lei diventa regista a partire dagli oratori. Su che materiale ha lavorato?

«Lo scopo del lavoro è ricordare la funzione importantissima ancora oggi dell’oratorio. Abbiamo proposto a tutti gli oratori di mandarci un filmato al massimo di tre minuti realizzato dai ragazzi per raccontare perché è importante quel luogo per loro. Ci sono arrivati 70 filmati, molti girati col telefonino, soprattutto da Lombardia, Veneto e Piemonte, dove questa realtà è molto forte, ma anche diversi dal sud e da Roma. Io ho cercato di mettere dentro un po’ tutti in 13 minuti scegliendo le parti visivamente migliori».

Cosa si vede in questo lavoro?

«Hanno risposto soprattutto ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Innanzitutto si tratta di un racconto corale, dove non vengono citati, se non nei titoli di coda, i nomi degli oratori, perché l’idea è quella di raccontare in modo globale l’oratorio, come realtà omogenea e ricca in tutta Italia. I ragazzi, che sono i veri protagonisti, ci mostrano i luoghi dove passano le loro giornate e come stanno in questa loro seconda casa».

Cosa l’ha colpita di più nei racconti dei ragazzi?

«Quello che mi ha colpito è che tutti sottolineano l’importanza dell’oratorio come luogo in cui trovarsi, diverso dalla casa o da scuola. Amano molto il gioco e lo stare insieme, ma anche le attività più spirituali. Insomma, un luogo speciale per condividere esperienze ».

Qual è per lei, che è papà, l’importanza nella vita così piena di stimoli dei ragazzi di oggi, di un luogo come l’oratorio?

«La sfida della modernità a questo luogo è terribile. È vero che le persone che frequentano questi luoghi sembra per alcuni che vivano in un altro tempo e in un altro luo- go. In realtà molte famiglie vanno controcorrente rispetto alla cultura egemone proprio mandando i loro figli all’oratorio. In una città come Milano, dove i ragazzi sono impegnati in mille corsi costosi e impegnativi, chi frequenta l’oratorio a volte è considerato uno che va lì perché non c’è niente di meglio. E non sanno cosa si perdono. Questo è un luogo che sopravviverà perché è fatto di idee, di serenità, di educazione e di spirito ».

Suo figlio come si trova?

«Lui e i suoi amici amano moltissimo andarci ma non riescono ad andarci quanto vorrebbero. Il problema sono gli orari della scuola di oggi che li impegnano quasi tutto il giorno».

Lei appare nel cortometraggio?

«Io appaio all’inizio e alla fine. Apro il filmato dicendo: “Il mio oratorio è fatto così. Com’è il vostro?”. E poi lasciamo raccontare ai ragazzi, sono loro al centro di questo lavoro girato, anche se a livello amatoriale, con passione ed entusiasmo».

E il suo, di oratorio? Spesso lei ne ha scritto con molto affetto e nostalgia.

«Il mio oratorio è lontano 50 anni fa, ma ne ho un ricordo indelebile. Un luogo di formazione particolare, a Villacortese vicino a Legnano, dove ho passato parte dell’infanzia e dell’adolescenza. L’oratorio era importante per il gioco e per il senso di fare famiglia. E dove c’era, come in molti oratori, un bellissimo teatro. Don Giancarlo ogni anno riusciva a mettere su con una compagnia dialettale un paio di spettacoli. Se sono diventato attore, dunque, lo devo anche all’oratorio ».

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