mercoledì 15 luglio 2015
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Del pellegrino perfetto non si conosce il nome. O forse, più semplicemente, si fa fatica a ricordarlo, a causa della difficoltà di traslitterazione e pronuncia. Al Punto di Incontro di Trento sanno solo che veniva dal Tibet, non parlava nessuna delle principali lingue europee, ma alla proposta di essere messo in contatto con la comunità cinese ha subito risposto «no», forte e chiaro.Anche lui, come tutti, ha avuto il suo tè e i suoi biscotti, ha fatto la doccia, si è sfamato e cambiato d’abito. Dopo di che, ha ripreso la strada. Non quella della retorica corrente, viaggiare è vivere e vivere è viaggiare: una metafora suggestiva, a patto però che resti una metafora. «La strada, quella vera, ti consuma – sottolinea il direttore del Punto d’Incontro, Alberto Cortelletti –. Mi viene in mente l’effetto dell’asfalto sulle ginocchia dei bambini. Sbucciature tremende, che portano alla luce la carne viva. Si guarisce, è vero, ma ci vuole molto tempo, molta pazienza».Ammettiamolo: al Punto d’Incontro si corre il rischio di distrarsi. Siamo in Trentino, basta che lo sguardo si sposti oltre il balcone e ad attenderlo trova un paesaggio quieto e verdeggiante. Con le Dolomiti in bella vista, l’Europa più florida e benestante sembra davvero a un passo. Eppure i pellegrini del XXI secolo, viaggiatori non per svago ma per necessità, sono di casa anche da queste parti. Marocchini e ivoriani si muovono per via di terra, arrivano in camion dall’Est e poi su, verso il Nord. I più ingenui ci provano con il treno, accordi di Schengen permettendo. Qualcun altro, che si presume smaliziato, si affida a un taxi diretto in Austria. «Non mi stupirei – aggiunge un operatore del Punto d’Incontro, Giorgio Viganò – se fossero già iniziate le carovane a piedi». Eurozona o non Eurozona, gli spalloni non sono mai andati in pensione.Cambia il mondo, cambia anche la carità, l’accoglienza. Nel 1979, quando don Dante Clauser fondò la cooperativa su cui ancora oggi si basano le attività del Punto d’Incontro, i poveri erano i clochard di una volta. I barboni, secondo una definizione più sbrigativa. E come «prete barbone» è stato a lungo conosciuto lo stesso don Dante, originario di Lavarone e morto a Trento nel febbraio del 2013, mentre si preparava a compiere novant’anni. «Oggi la città va fiera di lui, lo considera un’icona – commenta Piergiorgio Bortolotti – ma non è sempre stato così».Piergiorgio se le ricorda bene, le diffidenze degli inizi, e le ha anche raccontate in un libro, Punto d’Incontro, edito dal Margine una decina di anni fa. Nel 1976 lui era operaio alla Ignis, l’antenata della Whirlpool di oggi. Era un ragazzo inquieto, com’è giusto che sia e come tanti se ne incontravano all’epoca: i turni in fabbrica, la passione per la letteratura, le promesse del Concilio, i primi testi scritti per sé e per gli altri. È che così che il giovane Bortolotti si mette più o meno nei pasticci a causa delle preghiere composte per una Messa operaia, che suscita la disapprovazione delle gerarchie. Ne stanno discutendo nella commissione della Pastorale del lavoro e il ragazzo rimane sulla sua posizione: farei tutto daccapo, ripete. «Brao – gli risponde una voce dal fondo –, anca perché no resta altro da far…».L’incontro con don Dante avviene così, con una battuta che è in effetti una manifestazione di realismo. Tempo tre anni e Piergiorgio si trasferisce in via del Travai, a due passi dalla centralissima piazza di Fiera. È lo stesso edificio dove oggi continua ad avere sede il Punto d’Incontro. Negli anni altri spazi si sono aggiunti, quasi a formare un piccolo labirinto della misericordia, e anche la stanzetta di don Dante, nel sottotetto, si è trasformata in ufficio. Lo spirito rimane quello dell’Abbé Pierre, di cui il sacerdote trentino è stato un convinto ammiratore. «Che nessuno debba rubare per mangiare, né umiliarsi per lavarsi e vestirsi», sintetizza Cortelletti. Oppure, in modo ancora più incisivo: «Hai mangiato? Siediti!».Spiega Bortolotti: «Sono le parole con cui don Dante si rivolgeva a chi, venuto a chiedere il pane, trovava ascolto e comprensione. I senzatetto dormivano da noi, mangiavano con noi, era una vita comune nello stile della condivisione più piena». Già allora, in ogni caso, non ci si limitava ad andare incontro ai bisogni, si cercava insieme la maniera per superarli. Facendo in modo che chi si trovava in difficoltà imparasse un mestiere, anzitutto. Una prospettiva che in questo momento è gestita dal laboratorio di falegnameria e restauro della cooperativa, una realtà in buona parte autofinanziata, anche se può contare sull’appoggio del Comune di Trento. Le istituzioni sono coinvolte a diverso livello nelle iniziative del Punto d’Incontro, sia attraverso il finanziamento erogato dalla Provincia, sia attraverso il comodato d’uso gratuito concesso dallo stesso Comune per i locali di via del Travai.«Da noi la crisi è arrivata nel 2010, più tardi che altrove – dice Cortelletti – e ancora non si è esaurita. Per la prima volta, dopo tanto tempo, alla nostra porta hanno bussato anche i trentini. Per loro non è un passo facile, perché venire "da don Dante" è come un marchio, qualcosa di cui vergognarsi. Alcuni si presentano con aria spavalda, convinti di risollevarsi in fretta, ma spesso è solo un’illusione. Prima perdono il lavoro, poi rinunciano all’automobile, alla fine vendono la casa. Il Punto d’Incontro lo lasciano per quando non hanno più nulla».
Un altro elemento indicativo è quello dei ritorni: «Persone, di solito africane, alle quali avevamo dato assistenza anni fa e che nel frattempo si erano inserite bene, il più delle volte nel Bresciano o nella Bergamasca, zone che in passato hanno assorbito molta immigrazione – riepiloga Giorgio Viganò –. Se però l’azienda non regge l’urto della crisi e chiude, la povertà torna a mordere e loro vengono a cercarci di nuovo, come all’inizio».«Di rado chi arriva da fuori punta a stabilirsi a Trento – aggiunge Cortelletti –, siamo una città di passaggio verso altre regioni o, come accade ora, verso altre nazioni. Il Centro di accoglienza per profughi di Rovereto non è distante, una parte dei nostri utenti viene da lì. Ma siamo in contatto anche con la Caritas di Bolzano, che di recente ha dovuto aprire uno sportello in stazione per fornire le prime informazioni a quanti sono diretti verso l’Europa del Nord».Al Punto d’Incontro non ci si ferma per la notte. Non d’estate, almeno. Il dormitorio, inaugurato nel 2006, è in funzione da dicembre ad aprile, per fornire un riparo nei mesi più freddi. Ma ogni mattina, in qualsiasi stagione, in via del Travai è possibile fare colazione e dare uno sguardo ai giornali, mentre si aspetta il proprio turno per dialogare con uno degli operatori. Nella grande stanza, ospitale nella sua essenzialità, ci sono solamente uomini. Le donne hanno altri riferimenti, primo fra tutti la Casa della Giovane, un’associazione di volontariato le cui origini risalgono agli anni Quaranta.Secondo le stime della Caritas locale, a Trento la popolazione dei senza fissa dimora conta circa 500 persone. «Non sembrerebbero molte – precisa Cortelletti –, ma il rapporto con gli abitanti del Trentino è di uno su mille». Proporzione non trascurabile, dunque, della quale al Punto d’Incontro si prendono cura una cinquantina di volontari, oltre ai 18 operatori della cooperativa (durante l’inverno il numero sale a 21). Tra i servizi principali rimane la mensa, che ogni giorno garantisce tra i 140 e i 180 pranzi. Ci si siede, si sta insieme, si mangia, si parla. E poi, con l’aiuto di Dio e degli uomini, ci si rimette in viaggio.
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