mercoledì 18 maggio 2016
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L’arte è molte cose assieme, ma certamente è sempre stata legata al potere. Spesso il messaggio politico ne è una della cause principali (ma ultima tra quelle determinanti nella riuscita), e allo stesso tempo la più labile perché legata al contingente. Occorre perciò esercizio per riconoscere le strategie politiche che corrono come sottotesto alle vicende della storia dell’arte. Paolo Simoncelli, docente di Storia moderna presso il dipartimento di Scienze Politiche della Sapienza, si è applicato a uno dei capitoli fondamentali di questa architettura, Le Vite dei più celebri scultori, pittori e architettori pubblicate da Giorgio Vasari in due versioni nel 1550 e il 1568. Lo storico le affronta in chiave dichiaratamente politica: le Vite vasariane, cioè, andrebbero lette attraverso una lente anamorfica capace di correggere le intenzionali distorsioni nella traditio della memoria storica a difesa dell’ortodossia politica: vale a dire del potere mediceo per quanto riguarda la narrazione degli intrighi politici e militari che ruotano attorno ai Medici dalle vicende della Repubblica fiorentina passando per la definitiva presa del potere nel 1537. Simoncelli propone tre casi. I primi due riguardano figure minori del Rinascimento fiorentino, Giuliano Bugiardini e Cristofano Gherardi, il terzo la massima: Michelangelo. In tutti i casi Vasari, fiduciario di Alessandro prima e poi uomo chiave di Cosimo I, sembra rimuovere i cenni che colleghino l’impegno attivo di questi artisti contro i Medici. Il primo è personalità dai contorni sfuggenti già per i contemporanei. Simoncelli ne ricostruisce il suo coinvolgimento nella distruzione delle immagini dei pontefici medicei nelle chiese fiorentine nel 1527 e lo annovera tra i savonaroliani. Ma Vasari, nella biografia della seconda edizione (nella prima Bugiardini non compare) non ne fa cenno, così come è rimosso ogni riferimento alle committenze da parte dei membri della famiglie avverse ai Medici. Cristofano Gherardi è caso speciale perché, bandito da Cosimo nel 1537, fu amico e collaboratore di Vasari. Questi sembra compierne una sistematica riabilitazione, cercando di diminuirne le “colpe” come incidenti di percorso, fino a veri e propri «depistaggi» sulla cospirazione che costa a Gherardi l’esilio. E sarà proprio Vasari a ottenere nel 1554, dopo 17 anni, la riabilitazione dell’amico. L’ultimo capitolo ricostruisce attorno al busto di Bruto del Bargello, i fitti legami di Michelangelo con gli antimedicei: la famiglia Strozzi e sistema degli esuli di stanza a Roma. Quando nel 1537 Lorenzino de’ Medici assassinò lo zio Alessandro, duca di Firenze, fu salutato dai repubblicani come 'novello Bruto'. Ma se Vasari depotenzia ogni possibile legame tra l’opera e l’omicidio, Simoncelli allarga lo sguardo alla posizione di Michelangelo sul tema del tirannicidio ed esamina sotto il profilo storico la discussa cronologia dell’opera incompiuta, ma soprattutto sul possibile ruolo attribuitole dal maestro negli anni ’50 nel contesto degli assalti portati da Piero Strozzi alla supremazia medicea. © RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Simoncelli ANTIMEDICEI NELLE “VITE” VASARIANE Edizioni Nuova Cultura. Pagine 166. Euro 15,00.
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