mercoledì 1 giugno 2022
L’ultimo capolavoro del genio tedesco in scena all’Opéra Bastille nel segno del genio femminile. Applausi per una produzione da “piccola Bayreuth” lungo la Senna
Gli applausi finali a «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi. Al centro la direttrice australiana Simone Young

Gli applausi finali a «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi. Al centro la direttrice australiana Simone Young - Avvenire

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«A Parigi c’è Wagner diretto da una donna?». Eh sì, fa ancora un certo effetto in Italia sapere di una direttrice sul podio, impegnata in un’opera lirica. Figurarsi se sul leggio è aperta la partitura di un autore considerato fin troppo maschile e ribelle come Richard Wagner. E, certo, non vale solo per il nostro Paese se è vero – come è accaduto la scorsa estate – che al Festival wagneriano di Bayreuth si è dovuto aspettare 145 anni prima che una donna, l’ucraina Oksana Lyniv, si immergesse nel golfo mistico per condurre L’olandese volante. Nella capitale francese tocca in questi giorni all’australiana Simone Young scendere nella buca dell’Opera Bastille per l’ultimo capolavoro firmato dall’irrequieta penna tedesca: Parsifal. Non che per lei sia un debutto nel principale teatro lirico parigino dove mancava da quasi trent’anni (lei di anni ne ha 61). E non che la bacchetta originaria di Sydney sia ai primi approcci con le colossali composizioni del maestro di Lipsia: anzi, fra Monaco di Baviera, Berlino e Vienna, Young è una sorta eroina wagneriana, una Valchiria del podio, energica e decisa, pronta a passare da Lohengrin al Ring. Con lei Wagner è donna. Anche a Parigi. E non solo per merito suo. Altre due icone femminili conquistano il pubblico e fanno del Parsifal d’Oltralpe un (buon) successo: la russa Marina Prudenskaya, un’eccellente Kundry, e la direttrice del coro Ching-Lien Wu, taiwanese di nascita ma con un percorso di studio e poi professionale per lo più francese.

Kwangchul Youn (Gurnemanz), Simon O'Neill (Parsifal) e Marina Prudenskaya (Kundry) nel terzo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi

Kwangchul Youn (Gurnemanz), Simon O'Neill (Parsifal) e Marina Prudenskaya (Kundry) nel terzo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi - Vincent Pontet / Opéra de Paris

Sul proscenio, alla fine dello spettacolo, Young si presenta con una lunga maglia grigio-rosa: molto informale. E strappa lunghi applausi. «Questa musica è come un dipinto luminoso creato da Wagner anche se noi non siamo in grado di comprendere come sia possibile scorgere il sole dietro una storia cupa e piena di dolore. Sono i colori diffusi e abbaglianti che un’orchestra deve palesare», ha raccontato alla vigilia della prima della «sacra rappresentazione scenica» – come la definiva lo stesso compositore – in cui si intrecciano i temi del pentimento, della compassione, della rinascita e il trittico «amore-fede-speranza». Va promossa, seppur non con la lode, la sua direzione. Nonostante un inizio troppo lento, la sua lettura prende quota con lo scorrere del dramma. Con ampi gesti, coordina bene buca e palcoscenico. Sa esaltare sia i momenti sacri, sia quelli tragici. Ed è più che positiva l’intesa con l’orchestra che ha un suono vigoroso, è nel complesso precisa (persino negli ottoni) e mostra di essere a proprio agio di fronte a un “santuario musicale” che in Italia è sempre più raro da ascoltare. Wagner è parte della sua storia fin da quando, giovane promessa, è volata in Europa per diventare assistente di Daniel Barenboim, in particolare a Bayreuth per il Ring nel 1991. Lei è stata una bacchetta “pioniera”: prima donna a dirigere un titolo lirico all’Opera di Parigi (Les Contes d’Hoffmann nell’ottobre 1993) e poi all’Opera di Stato di Vienna (La Bohème nel novembre 1993), ha tagliato anche il primo traguardo rosa con la Wiener Philharmoniker nel 2005 rompendo quel primato maschile che durava dalla fondazione della compagine austriaca a metà Ottocento.

Il terzo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi

Il terzo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi - Vincent Pontet / Opéra de Paris

La produzione parigina di Parsifal – in cartellone fino al 12 giugno – sembra quasi un preambolo della kermesse wagneriana in Franconia che si apre il 25 luglio o, detta in altri termini, una “piccola Bayreuth” lungo la Senna. Perché ancora una volta Oksana Lyniv torna sul podio; e perché buona parte del cast all’Opéra Bastille è passata dalla rassegna fondata dallo stesso Wagner e che va in scena nel teatro fatto costruire dal genio romantico a misura della sua “musica dell’avvenire”: oltre a Prudenskaya, il basso coreano Kwangchul Youn – che a Parigi è un incisivo e penetrante Gurnemanz benché senza un’ampia massa vocale – è volto noto al Festspielhaus, come anche Reinhard Hagen che alla Bastiglia è un efficace Titurel. Sono passati trent’anni dal debutto a Bayreuth di Falk Struckmann che a Parigi è un rodato Klingsor: la voce non ha più la brillantezza di un tempo, ma l’interpretazione fa breccia e vale ancora ascoltarlo nel “dialogo” con Kundry del secondo atto.

Brian Mulligan (Amfortas) nel primo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi

Brian Mulligan (Amfortas) nel primo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi - Vincent Pontet / Opéra de Paris

A vestire i panni di Amfortas è Brian Mulligan: profondo, intenso, trasmette tutto il tormento e la sofferenza di un uomo in cerca di redenzione dopo le sue cadute. Fra gli interpreti la nota dolente è rappresentata da Simon O’Neill nel ruolo del protagonista: all’esordio all’Opéra de Paris, è in più punti in difficoltà e il suo timbro non particolarmente aggraziato mina alle fondamenta la complessità del personaggio. Certo, non è favorito dalla regia di Richard Jones che fa del “puro folle” caro al vate germanico una sorta di “babbeo” fuori della realtà.

Il primo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi

Il primo atto di «Parsifal» in scena all’Opera di Parigi - Vincent Pontet / Opéra de Paris

L’allestimento del creativo londinese concepito per il teatro parigino nel 2018 ha la qualità di essere colossale e il limite di scivolare nel didascalico e nella fissità. Colossale perché solo nel primo atto ci sono cinque scene che cambiano di continuo: il giardino del Monsalvato con il busto di Wagner; il refettorio-cucina della comunità monastica con tanto di impastatrice, forni, pentole a bollire; la doppia camera di Titurel e Amfortas con le sacche di sangue donato dagli adepti; la sala (moderna) che custodisce il Graal, calice dell’Ultima Cena; e la chiesa-teatro con le tribune. O ancora il giardino delle tentazioni di Klingsor è prima una serra e poi una terrazza con erotiche donne-fiori. Ma la staticità torna più volte, come nella buia scena della seduzione di Parsifal da parte di Kundry; o nell’Incantesimo del Venerdì Santo. Comunque l’elemento cristiano che aveva catturato Wagner emerge. E anche quel radicalismo che tradisce la fede.

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