venerdì 14 marzo 2014
Le ricette di due saggi per trovare equilibri di lungo periodo. Interventi di Romano Prodi e don Giovanni Nicolini LEGGI.
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​Manca tanto la politica. Nei momenti di grande cambiamento è difficilissimo trovare gli equilibri di pace, che diano una prospettiva di lungo periodo. Questo è uno dei più veloci e grandi momenti di cambiamento della storia dell’umanità. Ma in Europa c’è una specie di enorme paralisi.Quando si sente dire che si sta andando verso un accordo su un sistema economico internazionale e sul Fondo monetario, bisogna porre attenzione perché nei momenti di cambiamento le prospettive di accordo sono complicate: gli americani evidentemente non hanno nessun interesse a fare un accordo, avendo grandissimi privilegi come essere moneta di riserva e stampare dollari; i cinesi pure, perché vogliono ritardarlo fra 4 o 5 anni quando saranno molto più forti di oggi. Quindi in questa situazione le prospettive di un’autorità mondiale – che noi individuiamo per definizione nell’Onu – sono estremamente fragili.

Esiste un indebolimento di tutto ciò che è sovranazionale, a partire dall’Unione Europea: vertici su vertici, Germania e Francia che fanno pre-vertici e si trovano assieme a discutere in una strana situazione in cui non esiste più parità fra i due Paesi come negli anni in cui la Germania era già più forte economicamente, ma aveva bisogno politicamente della Francia. Adesso la Germania non ha bisogno di nessuno. Sono quindi vertici assolutamente zoppi in cui la cancelliera Merkel detta la linea e il presidente francese fa la conferenza stampa. Poi gli altri 25 Paesi brontolano, ma non reagiscono e l’autorità sovranazionale, la Commissione di Bruxelles e il Parlamento vengono sempre più indeboliti.Se tutto questo portasse a una linea politica comune europea per partecipare alle grandi riforme mondiali potrebbe anche andar bene. Ma il problema è che tutto questo frammenta il potere europeo. Il nostro continente, ricordiamolo, nonostante la sua caduta è ancora il numero uno al mondo per produzione industriale e come esportazioni, prima ancora degli Stati Uniti, ma non contiamo nulla proprio perché in questa fase di cambiamento noi stessi non abbiamo voce. La indeboliamo come in un coro che non ha il direttore d’orchestra.In più c’è un’altra complicazione su cui riflettere: il cuore delle decisioni a livello mondiale si è fortemente spostato al di fuori della politica. Ci sono mille ragioni per l’anti-politica, ma si tratta di un discorso pericoloso perché qualcuno al mondo comanda. In questo momento abbiamo una situazione di divisione che genera una paralisi. Le grandi imprese, soprattutto quelle finanziarie e i grandi organismi multinazionali, non hanno invece bisogno di consessi, riunioni, assemblee o vertici: prendono decisioni con rapidità estrema, decisioni che poi determinano cambiamenti politici enormi. Se decidono cioè di colpire i titoli dei buoni del tesoro italiani, spagnoli o irlandesi, la tempesta diventa un’enorme tragedia perché nella globalizzazione strana in cui viviamo si sono inseriti dei meccanismi automatici di azione estremamente rapida non gestiti dai governi. Allora cambia la legge finanziaria di diversi Paesi, cambia il nostro tenore di vita, cambia il costo della vita, cambia l’imposizione fiscale, cambia tutto. Ciò deriva in gran parte da fattori esterni alla politica e si manifesta il dilemma in cui viviamo: da un lato dobbiamo essere vigili che la politica non abusi, dobbiamo vigilare sull’etica, sull’onestà nei pagamenti delle imposte, sulla non corruzione; dall’altro lato però lo spossessamento del potere politico porta alla conseguenza che altri comandino il mondo, e ciò mi preoccupa moltissimo. Dobbiamo stare molto attenti, perché ci troviamo di fronte allo spossessamento della nostra responsabilità decisionale.Viviamo in un mondo fluido, in cui le decisioni sono sempre più difficili da prendere. Occorre stare attenti perché tutta questa fluidità si traduce in rischi drammatici e in prospettive estremamente preoccupanti. Avremo davvero bisogno di una grande autorità dell’Onu. Ecco perciò uno dei grandissimi problemi che abbiamo nel gestire la pace: abbiamo di fronte delle bombe a orologeria di cui non teniamo mai conto, salvo quando scoppiano.

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