lunedì 11 marzo 2013
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Caro Sequeri, con altrettanta cordialità e simpatia desidero ringraziarla del suo meditato e garbato riscontro alla mia Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù.Innanzitutto vorrei fosse chiaro che io non mi rivolgo alla Chiesa che Cristo ha posto a fondamento come pietra sulla saldezza morale di Pietro, bensì su una certa Chiesa che troppo spesso, ancor prima che alla fede, si affida alle certezze dei poteri temporali.Lei, caro Sequeri, molto amabilmente mi pone davanti alla affermazione categorica dell’autorevole teologo Karl Barth: «Senza la cognizione piena del Crocifisso, il rischio è parlare della Chiesa come se il Grande Inquisitore e il poverello di Assisi ne siano membri a pari diritto». Mi rendo conto della incontestabile opposizione tra i due e, ciononostante, dobbiamo accettare che chiunque ha diritto a essere quello che è e vuole essere, nel bene e nel male, secondo le sue proprie libere scelte.Nessuna Chiesa potrà mai ritenersi incontaminabile dall’errore e nessuna protezione divina la preserverà dalle meschinità umane. Io credo che va bene così. Che deve essere così. La Chiesa luogo dell’anima e al tempo stesso della lotta contro i cedimenti della fede.Ma forse, riconoscendo la mia modesta preparazione scolastica, non sono in grado di affrontare questioni di tanta levatura. Tuttavia sento sempre più frequentemente il bisogno di interrogarmi sui principi religiosi e prima ancora di cercare risposte nei libri, mi sforzo di rispondere da solo a me stesso, secondo le mie modeste possibilità. Sarà presunzione? Eppure mi sentirei umiliato a credere secondo imposizioni di dogmi. Neppure il Creatore ha osato tanto. Anzi, ha posto totalmente la Sua fiducia nell’Uomo ben sapendo a quali dure prove sarebbe stato sottoposto.Caro Sequeri, lei dice che oggi: «...il cristianesimo appare smarrito e svuotato, ma la nuda fede non è mai mancata all’appello nei momenti cruciali». È vero. Ma la «nuda» fede non basta. La fede è una realtà intima dell’anima. Non la si può dispensare e neppure donare. La fede è una prova continua con noi stessi e può persino capitare che subdolamente riusciamo ad addomesticarla alle nostre debolezze, alle nostre convenienze.Altro è la carità. La carità è la sola virtù che può fare a meno della fede e persino della speranza. Il vecchio parroco del mio ultimo film, nel momento della morte lascia a testimonianza queste ultime parole: «Il bene è più della fede...».È sul bene che Gesù mi interroga dall’alto della Croce. Non mi domando se Cristo nato da donna sia stato concepito e incarnato per un privilegio di origine divina. Quel corpo crocifisso, nell’attimo estremo  del Suo ultimo respiro, ha urlato con la stessa sofferenza di un qualsiasi altro uomo la Sua disperata solitudine. Per tutti i secoli passati e quelli a venire, ai piedi di quella Croce e di tutte le croci di vittime innocenti, il popolo dei cristiani si è fatto Chiesa di carità.Lei ha ragione, mio caro amico Sequeri: la Chiesa si fa insieme. Ma prima dobbiamo domandarci quale Chiesa vogliamo. Perché sia davvero la Chiesa di Gesù il Nazareno, bisogna cominciare col costruirla prima di tutto dentro di noi, e salda come pietra.
P.S.dall’Apocalisse  di Giovanni: «Fuori i cani, gli impostori, gli immondi, i depravati, gli omicidi, gli idolatri e tutti coloro che praticano la menzogna...».
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