lunedì 23 marzo 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?». Così affermava Adriano Olivetti nel discorso ai lavoratori pronunciato in occasione dell’inaugurazione del nuovo stabilimento Olivetti a Pozzuoli nel 1955.«Possiamo rispondere – così continuava – che c’è un fine nella nostra azione di tutti i giorni ad Ivrea come a Pozzuoli. Senza la consapevolezza di questo fine è vano sperare il successo dell’opera che abbiamo intrapresa. Perché una trama ideale al di là dei principi della organizzazione aziendale ha informato per molti anni… l’opera della nostra società. Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea… risponde ad una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo giacché i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna».«La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando quella regione verso un tipo di comunità nuova ove non sia più una differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna di essere vissuta. La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede infine che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto».Sono racchiusi, in questo bellissimo discorso di Adriano Olivetti, gli elementi caratteristici del suo pensiero riconducibili a un ideale di impresa capace di porsi, in modo diverso dal capitalismo e dal socialismo, i problemi dell’uomo e della società, un’impresa in grado di costituire una realtà unica con il territorio e con i lavoratori nella sostanziale condivisione delle finalità del lavoro della fabbrica e nella piena fiducia nel contributo stesso di ogni uomo alimentato da valori spirituali e culturali. Si tratta della centralità, nella prospettiva olivettiana, della persona e della comunità. Viene alla mente la visione del personalismo contemporaneo e, in particolare dell’opera di Jacques Maritain. Sono ancora le parole di Olivetti ad orientarci esplicitamente in questa direzione: «Il pensiero politico contemporaneo è grandemente debitore a scrittori come Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Denis de Rougemont, per il loro sforzo di portare al centro dell’attenzione politica i rapporti fra la persona e le comunità differenziate in cui si esprime l’umana società».Così Olivetti scrive nel 1945, in Ordine politico delle Comunità, in un paragrafo tematicamente dedicato a «Persona e comunità» all’interno di un testo programmatico e fondamentale nella sua prospettiva. Appare evidente, al di là della collaborazione diretta attestata, nel dopoguerra, principalmente dalle pubblicazioni di contributi di Maritain sulla rivista Comunità, il sostegno che la prospettiva maritainiana offre allo sviluppo di una serie di argomenti cari al pensiero di Olivetti e al suo obiettivo di ripensare insieme lavoro e società formulandone una nuova visione in senso personalistico-comunitario.Umanesimo integrale di Maritain è, per Olivetti, testo fondamentale di riferimento utile a sottolineare, contemporaneamente, il senso profondamente umano costitutivo di ogni autentica dimensione di società (l’uomo come misura della comunità) e il ruolo dell’economia (di un’economia per la persona) nel quadro di una forte rivisitazione della vita della città, dei suoi aspetti strutturali (urbanistico-architettonici) ma anche e fondamentalmente delle sue dimensioni comunitarie, come testimonierà anche Città dell’uomo, il volume olivettiano – quasi testamento – del 1959.
Umanesimo integrale – così come altri testi dello stesso Maritain e di Mounier – rappresenta uno dei cardini di quella trama ideale su cui si costruirà e andrà assumendo consistenza e concretezza la ricerca olivettiana di comunità possibili di cui la fabbrica, pensata a misura della persona, rappresentò, per Olivetti, paradigma fondamentale. Un notevole fattore di ispirazione che sosterrà Olivetti nella sua tensione a mantenere vivo il senso dei valori spirituali e culturali per la costruzione di società nuove fondate sul rispetto pieno per la persona e su un autentico senso della comunità.Sì, anche l’industria può avere come fine l’elevazione dell’uomo, il suo riscatto morale insieme al riscatto di una terra e della sua gente. L’«inattualità» solo apparente del messaggio di Olivetti, pur nel volgere degli anni e nelle trasformazioni dei processi economici e produttivi, mantiene vivo invece il suo valore provocatorio e insieme propositivo. In questo tratto cogliamo anche il contributo ancora decisivo che il pensiero di Jacques Maritain può dare al pensiero politico ed economico del nostro tempo: ritrovare i fini della politica e dell’economia ritrovando i fili che le legano strettamente ad un’autentica promozione dell’umano.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: