mercoledì 3 novembre 2021
Enes Kanter, il cestista dei Boston Celtics, continua ad attaccare il regime comunista di Pechino ed esorta a boicottare i Giochi Invernali del 2022: «Xi Jinping dittatore, minoranze perseguitate»
Diritti umani e Olimpiadi in Cina nel 2022, c'è chi dice no
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Ci sono “tweet” che fanno molto più rumore di una schiacciata. Quelli di Enes Kanter, cestista Nba dei Boston Celtics, continuano a rimbalzare da un capo all’altro del mondo provocando crepe nel muro di silenzio di certi regimi autoritari. Parliamo di un pivot impavido e “apolide” che si è visto revocare la cittadinanza turca perché da anni in lotta contro Erdogan: non può più mettere piede nel suo Paese e continua a ricevere minacce di morte per sé e per i suoi familiari. Questa volta Kanter però ha scelto un bersaglio ancora più grande, ingaggiando la sua battaglia per la libertà contro il governo comunista cinese. Sui social si è rivolto senza peli sulla lingua al presidente Xi Jinping, definendolo «spietato dittatore» per la questione Hong Kong, dopo averlo attaccato nei giorni scorsi in merito al Tibet e alla persecuzione degli Uiguri, minoranza musulmana di etnia turcofona. Non si limita però a scrivere solo sui suoi account. Lo fa anche su scarpe realizzate ad hoc da Badiucao, un artista cinese dissidente che da anni vive in Australia. Iniziative che non sono sfuggite ai diretti interessati: il ministro degli esteri cinese, Wang Wenbin, ha spiegato in un’intervista che quello di Kanter è soltanto un tentativo di «catturare attenzione » per parlare di lui e «non vale la pena confutare o rispondere a quanto affermato». Prima però di lanciare un avvertimento: «Non accetteremo questo tipo di attacchi per screditare gli sviluppi e i progressi fatti dal governo cinese riguardo la situazione tibetana».

E la risposta non si è fatta attendere: i Celtics sono spariti dal palinsesto della Tv cinese. Oscurate tutte le partite che Boston sta giocando, ma cancellate anche tutte le repliche delle sfide dei mesi scorsi e rimosse le future gare dalla programmazione del canale che detiene i diritti Nba in Cina. Uno scenario molto simile a quanto accaduto nel 2019, quando a suscitare le ire di Pechino fu un tweet postato dall’allora general manager degli Houston Rockets Daryl Morey, che si schierò dalla parte dei manifestanti di Hong Kong. La Cina anche allora fece calare il buio in Tv sulla franchigia texana, la più po- polare lì visti i trascorsi nella squadra dell’ex stella cinese Yao Ming. Non solo. Fu bloccato l’intero campionato. Tutta la Nba è ritornata sugli schermi cinesi soltanto nell’estate 2020 durante le fasi conclusive della stagione. Un veto che al momento colpisce ancora i Philadelphia 76ers - attuale squadra per la quale lavora Morey dopo l’addio a Houston - che non viene trasmessa da Tencent, la piattaforma televisiva del Dragone. I vertici della Lega cestistica americana anche in questo caso hanno poca voglia di commentare.

C’è magari l’intenzione di evitare che la situazione degeneri, ma soprattutto di contenere le perdite economiche: l’oscuramento della scorsa stagione è costato alla Nba circa 400 milioni di dollari di entrate dalla Cina. Si tratta pur sempre della nazione più popolosa del mondo con un bacino per la Nba di circa 500 milioni di fan. La lega di basket possiede anche un’impresa Nba -China (da 5 miliardi di dollari) che forma giocatori locali. E tuttavia, secondo un’indagine Espn, da tempo sono state segnalate gravi violazioni dei diritti umani anche in queste strutture. Alcuni allenatori americani sostengono che i loro colleghi cinesi hanno commesso abusi sui giovani: in particolare nello Xinjiang, dove la maggior parte dei cestisti che si allenavano erano uiguri. E Kanter non riesce proprio a star zitto. Nei giorni scorsi ha continuato a tuonare tirando in ballo anche la Nike, colpevole di sfruttare la manodopera a basso prezzo in Cina per i propri interessi mentre nel mondo il noto brand si fa paladino della lotta al razzismo... Si servono di «schiavi moderni» accusa il cestista di Boston prima di lanciare la sua ultima battaglia: boicottare le Olimpiadi invernali che si terranno a Pechino a febbraio dell’anno prossimo.

«Il governo genocida cinese e l’insicuro tiranno dietro tutto questo, Xi Jinping, non deve avere la possibilità di ospitare i prossimi Giochi Invernali» scrive Kanter. Un appello che si unisce a quello di tante organizzazioni umanitarie. Sin da agosto l’associazione Human Rights Watch sta esortando il Cio ad aprire gli occhi: «La Cina è nel mezzo della peggiore repressione dei diritti umani dal massacro di piazza Tienanmen nel 1989. Le Olimpiadi si preannunciano come uno spettacolo del trionfo della Cina comunista sulla neve». Già le Olimpiadi estive del 2008 servirono ai vertici del regime cinese per far vedere un volto diverso, quando invece arresti e internamenti andavano avanti anche durante la rassegna. E in Cina non è cambiato nulla: i famigerati “laogai” i campi di lavoro e rieducazione creati ai tempi di Mao, sono stati solo “ufficialmente” chiusi e aboliti. In realtà ci sono ancora sotto forma di fabbriche e strutture dove si producono anche merci che poi arrivano da noi.

Un sistema su cui continua a far luce la Laogai Research Foundation (che dal 2006 ha anche una sezione in Italia), l’organizzazione fondata nel 1992 a Washington dall’indomito dissidente cinese cattolico Harry Wu morto nel 2016. Lui che è stato rinchiuso per 19 anni nei Laogai, i campi di concentramento cinesi (l’equivalente dei gulag sovietici), ha scoperchiato l’inferno di questi luoghi. Qui milioni di persone hanno subìto torture di ogni genere e perfino l’espianto di organi. Oltre al lavaggio di cervello quotidiano per dissidenti politici e credenti, perché l’unica religione è il Partito comunista. Se adesso anche il basket scende in campo, “l’artista di Kanter”, Badiucao, non può che rallegrarsene: «Usare la Nba o lo sport per lanciare messaggi sui diritti umani, è semplicemente magico. Perché quando non vieni da un regime autoritario, come la Cina, è difficile per te preoccuparti o capire veramente».

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