venerdì 18 gennaio 2013
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​Se capitate in Sardegna -quella autentica di ovili e nuraghe, sugherete e domus de janas, strade bianche e forre inaccessibili, case di granito e pane carasau, non quella artefatta e senz’anima degli orribili villaggi turistici un tanto al metro quadro spuntati in ogni angolo della costa - e scoprite una serie di minuscoli borghi ormai privi di qualsivoglia presenza umana, ebbene, allora vuol dire che siete in Ogliastra. «L’Ogliastra - scrive Gianmichele Lisai nel suo 101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita, edito quattro anni fa da Newton Compton - è un territorio misterioso. A percorrerlo capita di imbattersi di continuo in luoghi suggestivi e pieni di fascino. Fra questi non si possono dimenticare i "paesi fantasma", interi abitati abbandonati all’improvviso dalle proprie comunità per i motivi più vari: pestilenze, frane e alluvioni».Se nel peregrinare di valle in valle incontrate chi, tra un sorso di filu ’e ferru e l’altro, vi addita tiu (zio) Bore che ha appena compiuto i 100 anni e vi parla di tia Bonaria che ha felicemente tagliato il traguardo dei 103, ebbene, vuol dire che siete in Ogliastra, l’area dell’isola che assieme alla contigua Barbagia (o meglio Barbagie, Ollolai, Mandrolisai, Belvì e Seulo, secondo la divisione tradizionale) conserva il segreto di una serena inossidabile longevità.Se (un altro se) il gestore della trattoria che vi ha messo in tavola il porcetto vi propone, dopo l’immancabile seada al miele, di fare un giro tra i tacchi, non pensate che il bicchiere di troppo di Cannonau di Jerzu vi abbia fatto fraintendere: nessun invito a girare i tacchi. È che semplicemente siete in Ogliastra, terra di fantastici paesaggi di "tacchi" e "tonneri", le imponenti formazioni calcaree dei versanti del Gennargentu che arrivano fino a questo angolo di Sardegna dove uno approda per caso o per cura curiosità (un tempo si sbarcava a Olbia o a Cagliari, adesso i traghetti fanno scalo anche ad Arbatax) ma poi torna calamitato dal fascino di una terra che tra i tanti pregi ne vanta uno incontestabile: essere rimasta se stessa.Ogliastra, un tempo Agugliastra, ma è dall’olivastro - parte integrante del primitivo bosco mediterraneo - che la regione ha attinto il nome. Siamo al centro dell’isola, ad est, tra il massiccio del Gennargentu e il mare, lontano dai grandi insediamenti urbani e dai principali punti di crisi di una industrializzazione che alla Sardegna ha portato pochi motivi di speranza, tanti drammi, infinite delusioni. Sarà anche per questo che dell’Ogliastra non si parla mai: è un’isola nell’isola, un mondo a sé che raramente trova spazio o riscontro sui media continentali. Eppure il visitatore attento, il turista colto che vuole misurarsi con la Sardegna autentica, genuina e segreta, carica di tradizioni, storia, cultura, ricchezze ambientali, è qui - tra vette impervie e un mare senza uguali - che deve cercare un approdo, una base per un soggiorno non segnato dal solito mordi e fuggi dei vacanzieri dell’estate, categoria ben rappresentata da quell’homo metropolitanus che non esce dal triangolo perverso spiaggia-ristorante-discoteca. Gli arenili sotto Tortolì e Arbatax e le scogliere di Capo Sferracavallo sono gioielli paesaggistici che valgono il viaggio, pochi luoghi risultano carichi di suggestione come le spiagge di Orrì, di Musculedda e degli Scogli Rossi (is  Scogliu Arrubius), ma al dì là della linea costiera c’è un universo da scoprire, la vera anima sarda che attende di svelarsi. La trovi solo qui, ormai, quest’anima. Qui e in pochissimi altri scampoli di territorio isolano sottratti all’assalto del cemento, ancora non presi di mira dalle orde di un turismo chiassoso e alquanto volgare, irrispettoso dei luoghi.Qualche indicazione concreta va data, qualche itinerario va suggerito per chi volesse mettersi in viaggio fuori stagione, l’epoca migliore. Una escursione tra i monti di Jerzu, nell’alta Ogliastra, zona di grandi "tacchi" calcareo-magnesiaci accompagnati dalle "codule", i canaloni che raggiungono la costa, permette di venire a contatto con la natura di uno degli angoli più selvaggi, e per questo più fascinosi, dell’isola, anche se il Tacco Manno ("tacco" grande) è dalle parti di Tertenìa. Le macchie del Monte Ferru sono il regno della più rara fauna selvatica. Chi è interessato alla preistoria sarda vada ad Arzana (uno dei 23 comuni della provincia istituita nel 2001 con due capoluoghi, Lanusei e Tortolì) e troverà la necropoli a domus de janas (strutture sepolcrali scavate nella roccia) di Perdixi e i complessi nuragici di Unturgiadore, sa ’e Cortocce, sa Tanca e Ruinas. A Baunei (poco distante è la voragine s’Isterru, 300 metri di profondità, una delle più grandi d’Europa) si trova un "betilo" (pietra sacra) antropomorfo di età nuragica, ma domus de janas, tombe di giganti e resti di nuraghe si trovano quasi ovunque il visitatore giri lo sguardo.Ad una dolorosa, tragica archeologia dell’epoca moderna appartengono invece i piccoli centri abbandonati, i "paesi fantasma" di cui scrive Lisai. Uno in particolare merita una puntata, Gairo, Gairo Vecchio sgomberato tra il 1951 e il 1953 a seguito di una apocalittica alluvione accompagnata dallo smottamento del suolo. Gli ex residenti hanno poi costruito poco distante Gairo Sant’Elena, ma l’antico borgo deserto resta lì con le sue pietre silenziose a fare memoria di una Ogliastra che fu, misteriosa certo ma altrettanto suggestiva dell’Ogliastra di oggi.
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