mercoledì 4 novembre 2009
Da Cassano a Ribery la crisi di un ruolo in «fuori gioco». L’Argentina dopo Maradona ne ha bruciati tanti e adesso resta solo la speranza Messi.
COMMENTA E CONDIVIDI
Il grande talento calcistico del numero “10” esprime la sua arte nella capacità di creare e proporre una lettura nuova del gioco e per questo spesso paga anche dazio. Lo sa bene Antonio Cassano, giubilato da Lippi più per questioni di schemi che per i celebri limiti caratteriali. Cassano è perseguitato da quel 4-4-2 che impone due centrocampisti armati di clava o tutt’al più di una licenza da geometra. Lippi ha in mente un’Italia muscolare che si ispira alla sua prima Juventus. Nessun finisseur insomma. Il modello del giocatore totale, capace di tenere insieme e ricucire il gioco dell’intera squadra, ha piantato in asso il numero “10”. L’Argentina, spossata nel cercare invano l’erede di Maradona, ha puntato su Leo Messi, un’ala o una seconda punta all’occorrenza. A indossare la maglia dell’ex Pibe de Oro ci hanno provato in tanti. A partire da quell’Ariel Ortega appena messo fuori rosa dal River Plate per via del vizietto alla George Best. Tanti i figli più o meno legittimi della “mano de dios” che si sono dovuti arrendere all’evidenza. Ai ricusati Leo Rodriguez, Aimar e Saviola, si sono assommati gli specialisti dell’ultima ora. Tevez, eroe olimpico ad Atene, si è convertito in seconda punta nel City al fianco di Adebayor. Ribery, da quando al Bayern impartisce lezioni l’ex luminare dell’Ajax Van Gaal, accompagna Olic e Gomez in territorio decentrato. C’è chi avanza (di ruolo), ma anche chi retrocede. Il baby Pirlo del Brescia che, da grande, nel Milan veste i panni del playmaker è l’esempio più limpido. Un po’ come il tedesco Ballack sommerso in nazionale dalla pioggia di schemi imposti dall’integralista Joachim Low. Uno che la pensa esattamente come Carlos Dunga, che a forza di rintuzzare la linea centrale con Gilberto Silva, Felipe Melo e Ramirez, retaggio dei suoi trascorsi da mediano, ha spinto di fatto Kakà nell’area di rigore avversaria. Curioso invece l’esperimento di Denilson: mister 300 milioni di euro: partito da novello Garrincha al Flamenco, per poi vestire la fatale casacca numero “10”, con una sonora bocciatura rimediata persino nel campionato tailandese. Lì, una maglia da titolare non la negherebbero neppure al Maradona imbolsito e irascibile di oggi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: