giovedì 28 marzo 2013
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​Elitaria, astrusa, provocatoria. La vulgata corrente vorrebbe così l’arte contemporanea: lontana e incomprensibile. E allo stesso tempo il mondo dell’arte contemporanea sembrerebbe considerare il volgo non degno delle sue profondità. È proprio vero? Un occhio ai numeri e alle attività dei musei di arte contemporanea italiani sembrano fornire la fotografia invece di un Paese sempre attento alle espressioni del nostro tempo. A Roma il Macro nel 2012 ha raccolto 303.573 visitatori, un terzo di Castel Sant’Angelo, primo dei musei romani (Vaticani a parte, che fanno però storia a sé) e il doppio dei 165.517 della Galleria Nazionale d’Arte Moderna (che pure è cresciuta di 50mila unità rispetto al 2011). A Milano il Museo del Novecento ha staccato 265.314 biglietti, in pratica quanto Brera, e una realtà come il Pac, che ha una proposta più complessa e specializzata, conta 126.673 visitatori. Il Castello di Rivoli a Torino ha avuto 108mila visitatori, il Centro Pecci a Prato ben 125.896 (40mila in più dell’anno precedente): non appare avventato dire che il museo sia tra i primi motivi di visita della città toscana. Il Mambo a Bologna ha avuto 77.910 visitatori: la Pinacoteca Nazionale, scrigno dei Carracci e Guido Reni, nel 2011 - ultimo dato disponibile - 33.700. Forse ancor più significativi i risultati ottenuti dalle realtà in aree più periferiche: la Gamec di Bergamo poco meno di 40mila (quando era aperta, doppiava l’Accademia Carrara); il Man di Nuoro, in un contesto difficile come quello sardo, 35mila; Museion a Bolzano 48.321, +23% rispetto al 2011. Il CeSac, che ha sede nel seicentesco Filatoio di Caraglio, la fabbrica da seta più antica d’Europa, ha accolto nel 2012 ben 22.229 visitatori: tanti quanto la Pinacoteca di Siena o la Galleria di Palazzo Spinola a Genova. Se si somma la propensione italica all’antico al fatto che questi sono tutti musei giovani se non giovanissimi (il più antico, Rivoli, è del 1984), si può parlare di risultati di assoluto rispetto. «I 25 musei di arte contemporanea associati in Amaci raccolgono una platea di tre milioni di visitatori» spiega Beatrice Merz, presidente dell’Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani, nata nel 2003 e che riunisce grandi istituzioni con piccole e agguerrite realtà. «In Italia il contemporaneo fa fatica a entrare nell’attenzione del pubblico - prosegue Merz, che è anche direttrice uscente del Castello di Rivoli - Non è un caso che, contrariamente a quanto accaduto in altre nazioni, il sostegno all’arte contemporanea è avvenuto a partire dall’iniziativa privata, con gallerie e collezionisti, e solo in un secondo tempo ha ricevuto il sostegno delle istituzioni». Ma le cose, anche se a fatica, stanno cambiando. «Lo vediamo dalla curiosità della gente, che risponde bene alle sollecitazioni e che spesso ci stupisce. Internet e i social network, da questo punto di vista, sono una grande mediazione». La natura particolare e la stessa gioventù consentono in questi musei una dinamicità e una vitalità (micro mostre, conferenze, incontri con gli artisti, servizi aggiuntivi ben caratterizzati) che ad altri non sono consentiti. «Bisogna però che su molti punti cambi anche la mentalità del pubblico specializzato, quello dei cosiddetti "esperti", che molto spesso, e paradossalmente, su questi fronti è il più reazionario».Le difficoltà però non mancano. Se per tutti i musei la crisi è una spada di Damocle, per quelli di arte contemporanea, per i quali i rapporti con le istituzioni sono ancora più complicati, lo è in modo particolare. La maggior parte delle realtà è provinciale, comunale o legata a una fondazione. Il privato, anche in queste ultime, è strutturalmente debole e minoritario. Calano i fondi, si riducono le mostre e le iniziative. E i numeri ne risentono. Il Mart, i cui bilanci hanno subito forti decurtazioni nell’ultimo lustro, ha visto dimezzare il pubblico in un anno (148.405 nel 2012, comunque non pochi). Emblematico anche il caso Maxxi, nei fatti il museo di arte contemporanea mediaticamente più esposto a livello nazionale. È bastato un anno di traversie gestionali seguite da un commissariamento ministeriale e dalla nomina a dicembre di un nuovo cda che ha comunque dovuto varare un 2013 in ristrettezze (è saltata la mostra di Jeff Koons) per far scendere i visitatori dai 450mila del 2011 - un numero estremamente importante - ai 210.000 del 2012, (anche se da settembre il trend di afflusso è tornato sui livelli precedenti).Nel 2011, 23 dei musei associati ad Amaci hanno ricevuto finanziamenti pubblici per 37 milioni di euro. Il Centre Pompidou, nello stesso anno, ne ha ricevuti 68,7: per la prima volta dopo anni, una riduzione del 5%. Poco in confronto alla riduzione dei finanziamenti ai musei di Amaci del 10,56%. Il Pompidou nel 2011 ha raccolto 3.607.000 visitatori, ma è una realtà fuori scala anche rispetto all’intera Francia. Il d.c.a., cugino d’Oltralpe di Amaci, raduna una cinquantina di musei. Che in tutto fanno un milione di visitatori all’anno. «Ma quella dei numeri è un’ossessione solo nostra - dice Giacinto Di Pietrantonio, direttore della Gamec di Bergamo -. Il Centre d’Art di Villa Arson a Nizza, una città di 900mila abitanti, fa 15mila visitatori all’anno: una cifra che i responsabili valutano di tutto rispetto. I nostri politici la considererebbero insoddisfacente». L’Italia, insomma, non se la cava niente male. Ma i numeri, da soli, dicono poco: «Il problema di fondo è decidere se l’arte contemporanea serve a una nazione. È un dato di fatto che non sarà mai un fenomeno di massa. Bisogna avere chiaro che i musei di arte contemporanea sono come i centri di ricerca della fisica. In entrambi i casi i risultati, nel nostro in termini di creatività, hanno ricadute su molti». Ma la crisi, oltre che a colpire chi finanzia, aggredisce anche il pubblico: «I primi consumi tagliati dalla gente sono quelli culturali. Le scuole, per noi un bacino importante, sono crollate. E non per il prezzo del biglietto, che è ridottissimo: quello che ferma i progetti sono i costi laterali come i trasporti». La didattica è spesso uno dei fiori all’occhiello di queste realtà: «Tutti i musei di arte contemporanea sono impegnati nei servizi educativi. Che non vogliono dire solo bambini. La Gamec cinque anni fa è stato il primo museo a formare mediatori culturali in 30 lingue diverse per avvicinare i nuovi cittadini di Bergamo. Può sembrare inaspettato, ma i musei di arte contemporanea hanno un forte legame con il territorio. I dati dimostrano che il 70% dei visitatori proviene dalla città e dalla provincia, poi la capacità di attrarre si indebolisce man mano che il cerchio si allarga».A dimostrazione che comunque un pubblico l’arte di oggi, nonostante la crisi, riesce a mantenerlo, sono i dati della Giornata del Contemporaneo, promossa dall’Amaci, che vede nell’arco di 24 ore eventi e aperture speciali, dibattiti, laboratori, visite agli atelier. La prima edizione, nel 2005, ha visto la partecipazione di 207 realtà, che hanno toccato quota 1050 nel 2010 per scendere a 764 l’anno scorso. A fronte del calo di proposte il pubblico è cresciuto e ha tenuto: 97mila nel 2007, 200mila nel 2010, 241mila nel 2011 e 230mila nel 2012. «In Italia sta emergendo una base di piccoli centri che fanno grande tutto il Paese - commenta Beatrice Merz - La Giornata del Contemporaneo ha coinvolto un grande numero di realtà diverse. Questa è la rete che funziona, perché è ancorata al territorio. E può e deve far sentire la propria voce con le istituzioni. Per far capire che la contemporaneità non è un problema da museo. Noi, di contemporaneità, viviamo».
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