mercoledì 1 gennaio 2014
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Ha sessant’anni, Mamma Rai, è ormai nonna: di nipoti affezionati, che sono invecchiati con lei e da lei hanno ricevuto imprinting e notizie, motivi di affetto e di allegria, che hanno creato un pubblico di solide abitudini cavalcando decisa i vari decenni. della nostra Storia. Dal lontano 3 gennaio 1954, quando per la prima volta 24.000 abbonati si collegarono all’apparecchio televisivo per la prima trasmissione da Milano, il cammino è stato lungo e anche ricco di eventi, ma sempre legato all’immagine, per molti versi rassicurante, della "Tv di Stato", della voce della Legge e della Norma, foriera di sicurezza che si poneva al posto collaudato delle affermazioni divenute proverbiali : "C’è sul giornale!" o "Lo ha detto la radio!".I programmi della prima e unica rete, che solo nel 1982 ebbe la qualifica di Raiuno, erano seguiti con attenzione corale. Infatti il costo proibitivo dell’apparecchio (la metà di un’utilitaria) faceva sì che la visione dei programmi, trasmessi solo per alcune ore del giorno e della sera, fosse un fatto collettivo: dai vicini di casa, che offrivano ospitalità davanti alla tv protetta in generale da tovagliette e centrini, alle migrazioni verso i bar o, quando si diffuse nel 1956 Lascia o raddoppia?, nelle sale cinematografiche del rione che sospendevano le normali proiezioni. Una penetrazione lenta ma costante, che ampliò il pubblico e che offrì una connotazione precisa di sé. Le trasmissioni come intrattenimento ma anche come apporto culturale – in una Italia in cui alto era ancora il numero degli analfabeti e degli analfabeti "di ritorno" – in cui ogni programma veniva accolto con attenzione. E la tv Rai, ancora unica, si qualificava per la sua capacità di coinvolgimento, di far vivere il tempo partecipando agli eventi in tempo reale con la forza della visione facilmente leggibile. A ciò giovava il rigore – ora definito moralistico ma segno di rispetto e di misura – con il quale venivano selezionate le immagini, al fine di evitare qualsiasi caduta nell’eccessivo – per la voga di quegli anni – e il cattivo gusto, in programmi che venivano lungamente studiati e provati.E se solo nel 1961 si raggiunse il 97% degli utenti in tutta Italia, erano utenti fedeli e assidui: quelli che vennero tuttavia sollecitati a una dibattuta diaspora dall’avvento della Tv commerciale, che creò un secondo polo di attrazione in cui si affacciavano suggestioni trasgressive. Mentre la Rai restava fedele a una programmazione destinata alla fruizione nettamente domestica, in cui l’istruzione – il lato pedagogico, oggi così temuto ma che si raffaccia con i canali digitali terrestri – era parte integrante, la tv della Fininvest (dal ’94 fu Mediaset) in cui si apriva anche l’informazione quotidiana, si sviluppava con la rivista, il varietà, l’offerta di film, le televendite, a un mondo esterno colorato e attraente, cui la pubblicità, arrivata nel 1957 sul piccolo schermo, forniva alimento ma anche attrazione e suggestione. Un confronto che permane tuttora, malgrado l’insinuante abbondanza dispersiva dei canali digitali e della payTv.E nei decenni, anche per le parallele vicende della politica, i tre canali Rai si qualificano ideologicamente: Raitre, nata nel 1979, si connota negli Anni Ottanta come rete di sinistra e introduce vivaci sperimentazioni. La Rai tiene testa tuttavia alla concorrenza, coltiva il suo pubblico di elezione studiando programmazioni trasversali che attirino la fascia popolare non escludendo lo spettatore di buona cultura. Il suo programma-bandiera, il Festival di Sanremo, che non è soltanto un programma di canzoni ma è il test degli umori e dei gusti di tutto un popolo, diventa l’offerta più seguita e lo specchio dell’Italia via via in evoluzione; intanto i talk-show cambiano il modo di fare approfondimento, mentre sulle reti commerciali il reality trasforma lo spettacolo iniettandolo di realismi anche imbarazzanti, aumentando il ricorso facile ai format stranieri.
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