giovedì 2 gennaio 2014
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Fu grande l’attesa per l’avvio delle trasmissioni regolari della televisione italiana, il 3 gennaio 1954. Sessant’anni fa, tre giorni prima, Pio XII dedicava l’esortazione apostolica I rapidi progressi alla grande novità che si sarebbe prodotta pochi giorni dopo. Non era accaduta la stessa cosa trent’anni prima, il 6 ottobre 1924, quando la radio aveva iniziato le sue trasmissioni regolari dalla stazione di Roma. Le attese, dunque, che la televisione suscitava erano diverse e diversa la consapevolezza della sua importanza sociale. E tuttavia, senza il confronto con la radio, il nuovo mezzo di comunicazione non poteva essere spiegato. «Come la radio - scriveva il Papa riferendosi alla televisione - essa può entrare in ogni casa e luogo, in qualsiasi ora, recandovi non solo i suoni e le parole ma anche la concretezza e la mobilità delle immagini; il che le conferisce maggiore capacità emotiva, soprattutto a riguardo dei giovani». Quanto queste parole siano attuali non deve suscitare alcuna sorpresa. Tutti avevano chiaro che la radio aveva portato nelle case voci mai sentite prima, come quelle dei papi; tutti stavano immaginando: ah, se potessi anche vedere cosa accade! E di cose ne abbiamo viste in questi decenni. Senonché la radio non è stata resa inutile dalla tv ed ancor oggi è lì, testimone della nostra vita quotidiana; anzi, proprio grazie alla tv, è cambiata, adattandosi all’attualità. Un primo passo lo ha compiuto già negli anni ’50 del secolo scorso. Persi o limitati gli spettatori serali, attirati ora dalla tv, la radio ha conquistato la mattina e si è imposta nelle notti e - soppressa ogni pausa - trasmette oggi su decine di canali 24 ore su 24. La tv nascente fu marcatamente generalista e la radio, pertanto, tese a specializzarsi. In Italia i tre programmi della Rai stavano già assumendo i ruoli che, in una certa misura, mantengono fino ad oggi, antesignani di veri canali tematici.
I casi di Radio 3 in Italia e in Gran Bretagna, di France Culture e France Musique rappresentano i primi grandi esempi di specializzazione culturale e musicale che, in altri campi, le radio commerciali o religiose hanno perseguito con successo in tempi più recenti. Arrivata la tv, la radio si è imposta in alcuni momenti della vita che solo lei riesce a raggiungere: in auto non c’è persona che non l’accenda, tanto da esigere canali che trasmettono continuamente informazioni sul traffico e altri che, privilegiando il parlato, fanno compagnia a chi viaggia come a chi lavora, senza poter distrarre lo sguardo. La radio è mobile, costa poco, si sente dappertutto e reggi il confronto anche con le tecnologie più moderne. Pur essendo possibile scaricare e ascoltare contenuti audio da diversi strumenti elettronici, la presenza di un semplicissimo sintonizzatore Fm in quasi tutti i telefoni portatili spiega quanto la radio sia diffusa. Nel frattempo l’apparecchio radio è quasi scomparso dalle case. Nelle stanze dei ragazzi si è nascosta dentro un altro mobile: la televisione. Col passaggio al digitale terrestre e con la diffusione della tv via satellite, l’apparecchio televisivo è in grado di offrire numerosi canali radio. È dalla tv, così, che esce il suono radiofonico a immagini zero o occupando un canale televisivo come fanno alcune reti commerciali e talvolta anche la tv pubblica quando mandano in onda immagini dagli studi radiofonici. È un modo di ascoltare la radio che lascia spazio anche a qualche momento di visione, quando il lavoro o lo studio ci permettono una pausa, in una simpatica e forse inattesa integrazione.
A sessant’anni dall’introduzione della tv in Italia, la radio non solo si è infilata nella televisione ma le ha insegnato un ritmo fino a farsi copiare dai canali di sole notizie che, incalzanti e ripetitivi, sono quanto di più simile alla radio si possa immaginare. Purtroppo in questo suo nascondersi, adattarsi, mimetizzarsi, la radio ha anche perso qualcosa: la dimensione internazionale. Per decenni chi ascoltava le onde medie si rendeva conto di essere in un mondo più vasto, popolato di voci e culture diverse. Oggi, tra tagli e disturbi causati dai dispositivi elettronici, quel tipo di ascolto è diventato complicato anche lungo le frontiere, come sa chi, lasciata Chiasso, perde il segnale della radio svizzera dopo pochi chilometri. Sarà internet a risolvere la questione della radiofonia internazionale, libera e transfrontaliera? Per ora non è così. Ecco perché la radio, dopo sessant’anni di competizione e integrazione con la tv, ha bisogno di una novità: tornare alle origini, farsi sentire, come voleva Marconi, al di là dei mari e dei confini. Sarebbe facile.
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