martedì 1 ottobre 2019
La nuova tendenza della Serie A: la riabilitazione di quei calciatori che sapevano di naftalina, da Balotelli a Berardi, da Olsen a Berisha oltre ai tanti rilanciati da Conte nella nuova Inter
Mario Balotelli (Brescia) in gol contro il Napoli al San Paolo

Mario Balotelli (Brescia) in gol contro il Napoli al San Paolo

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Il calciatore ritrovato. L’Incompreso che ora tutti comprendono. Quello che si era perso nei rivoli scivolosi della carriera, l’altro che era finito nel dimenticatoio, citofonare ore pasti. Quello che era troppo vecchio, quell’altro che era troppo scarso. È la nuova tendenza della Serie A: la riabilitazione di quei calciatori - presunti campioni e/o onesti mestieranti - che sapevano di naftalina. Queste sono le ore di giubilo per il nuovo Balotelli, il Mario che sorride (questa è la notizia) e quando entra in campo al San Paolo tra le braccia porta Pia, la figlia avuta sei anni fa dall’ex fidanzata Raffaella Fico, il bomber che torna a segnare nel nostro campionato a quattro anni dall’ultima volta, l’uomo che a ventinove anni forse ha capito che il talento è una pianticella, da annaffiare col sacrificio ogni santo giorno. Il Balotelli New Style sta sfilando sulla passerella della Serie A col passo del padrone che conosce bene la sua terra. Come lui, tanti altri. A Firenze impazziscono per Frank Ribery. Il gol (slalom in area e tiro secco a spiazzare Donnarumma) e la prestazione di San Siro confermano che il francese dall’alto delle sue 36 primavere - non è arrivato nel nostro campionato per svernare. «Ho ancora fame: il calcio è la mia vita», ha detto “Scarface”, come lo chiamavano per via delle due cicatrici che gli attraversano la faccia, come le righe sbilenche nei fogli di un bambino che sta imparando a disegnare. Questo straordinario fuoriclasse - zavorrato da dodici anni e ventiquattro trofei messi in bacheca col Bayern Monaco - ha portato in dote alla Fiorentina la sua diversità, qualità preziosissima, in questi tempi di calciatori omologati e pensati/costruiti per fare senza mai (stra)fare in senso buono. Ribery a Firenze può ripetere quello che fece Miro Klose alla Lazio: quando lasciò il Bayern sembrava dovesse scivolare verso il viale del tramonto, invece in biancoceleste l’attaccante visse una seconda giovinezza. E in fondo il calcio è la dimostrazione che il Dottor Jeckyll e Mr Hyde possono convivere nello stesso uomo, magari dandosi il cambio da una stagione all’altra.

Quando in estate la Roma si è liberata del portiere svedese Robin Olsen tutti hanno fatto festa. Si era distinto, Olsen, per le sue uscite senza senso, i tuffi in ritardo, le distrazioni, le mani-saponetta. A Cagliari ha trovato la serenità e un allenatore (Maran) che gli ha dato fiducia dopo l’infortunio di Cragno. È così che abbiamo scoperto un portiere affidabile come pochi, acrobatico e felino in ogni parata; in una parola: un portiere decisivo.

L’Inter merita un discorso a parte. Di Antonio Conte conosciamo la sua grande capacità di pompare autostima in quei giocatori che nel tempo si sono sgonfiati, implodendo in una bolla di rassegnazione. Nomi: Brozovic, Gagliardini, Candreva, D’Ambrosio, Ranocchia. Sono sempre loro, quelli di prima. Ma non sembrano loro, perché finalmente giocano come si deve. Il croato Marcelo Brozovic è stato per anni il classico centrocampista “né carne e né pesce”, ha vagato un po’ ovunque, cambiando ruolo come ci si cambia di t-shirt ad agosto. «Con Conte ognuno di noi sa esattamente cosa deve fare», ha spiegato a chi gli ha chiesto ragione di questa sua trasformazione. Forse il segreto è proprio quello: trovare la password per entrare nel computer che regola la vita dei tuoi calciatori. E nessuno come Conte sa toccare i tasti giusti per accendere professionisti in “off”. Prendete Gagliardini: sembrava non servisse più, si diceva che fosse inadeguato per una squadra di fascia alta. Mica vero. A Genova - contro la Sampdoria - ha segnato il gol che ha blindato la sesta vittoria consecutiva dell’Inter e ha incassato gli elogi di Conte. Bisogna dare tempo al tempo. E aspettare che il destino faccia il suo giro e decida di darti un’occasione, l’ennesima. Prendete Etrit Berisha, portiere albanese della Spal. Tre anni alla Lazio, tre all’Atalanta. Ha fatto bene o ha fatto male? Domanda inutile, risposta che deve essere per forza evasiva. Non lo sa nessuno, forse nemmeno lui. Ha fatto. Punto. Ora però sta facendo di più. Nella fragile Spal che ha cominciato questa stagione zoppicando, il portiere ritrovato ha evitate molte figuracce, volando da un palo all’altro come non era mai successo in carriera.

E infine: Domenico Berardi - principino senza corona e senza scorta del Sassuolo - ha vissuto una carriera di picchi e abissi, da eterna promessa mancata, come una stella che brilla nel cielo, finché non ci accorgiamo che era un riflesso. Ha solo venticinque anni e questo è il suo settimo campionato di Serie A, nessuno tra i suoi coetanei vanta una militanza così significativa. Chiuse i primi due campionati segnando 16 e 15 reti. Della serie: ci eravamo tanto illusi. E’ caduto, si è rialzato, si è perso, si è - finalmente - ritrovato. Ora - con Zapata e Immobile - Berardi è il capocannoniere del campionato con 5 reti. Ritrovare se stessi è la più mirabolante delle scoperte. Nulla è perduto, finché c’è un pallone che rotola.

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