venerdì 26 giugno 2009
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Tratto dal magazine "Noi Genitori & Figli" in edicola il 28 giugno 2009 con Avvenire

I musicisti di  Esagramma non si possono descrivere. Bisogna sentirli e bisogna vederli. Solo così quel sesto rigo che eccede il pentagramma si capisce fino in fondo. Un’eccentricità che marca una differenza, che si spinge un po’ oltre quel che è considerato equilibrato, moderato, ammissibile. Ammissibili in un’orchestra che si limiti alle  righe canoniche del pentagramma, questi orchestrali non lo sarebbero mai: almeno metà di loro non sa leggere una nota. Non praticano il solfeggio, non si piegano al rigore del metronomo. Eppure suonano, eccome se suonano: trovando in quel sesto rigo uno spazio di libertà e di relazione.  Applauditissimi quando si esibiscono nelle sale da concerto, lontani dal palcoscenico i musicisti dell’Orchestra Esagramma hanno difficoltà a farsi ascoltare. Né si può dimenticare che al loro inizio in musica avevano difficoltà anche ad ascoltare gli altri e a entrare con loro in relazione: si tratta di bambini, ragazzi e adulti con ritardo mentale, disturbi anche gravi dello sviluppo, difficoltà sensoriali e motorie. La musica – che possiede una propria grammatica, una sintassi, persino un vocabolario tutto suo – è il linguaggio attraverso il quale queste persone entrano in comunicazione con il prossimo e con se stessi: perché le note vibrano dentro, smuovono ciò che si è vissuto ed è sedimentato, portano a galla i sentimenti, facendo rivivere affetti e difficoltà in chi i suoni li ascolta e ancor di più in chi li produce. In quel sesto rigo che sopravanza la misura c’è tutta l’esagerazione di quelli di Esagramma: che prendono un ragazzo digiuno di qualsiasi conoscenza musicale, un ragazzo con pesanti problemi sensoriali o gravi compromissioni motorie, con un ritardo cognitivo o con disturbi della relazione e in pochi anni – da sei a dieci – ne fanno l’elemento di un’orchestra. Ne fanno un individuo capace di salire sul palcoscenico dell’Auditorium di Milano (1400 posti, più o meno) o del Teatro Ponchielli di Cremona (i posti sono 1250) per regalare buona musica.Considerato che al primo approccio con la musica qualcuno degli apprendisti musicisti non riusciva a restare seduto davanti a uno strumento – o semplicemente seduto – per più di qualche secondo, si capisce che gran lavoro sia stato (e su quanti fronti) ottenere le due ore di concentrazione indispensabili per andare in scena. E la sicurezza necessaria per affrontare un ambiente nuovo – il palcoscenico – a cui bisogna abituarsi in meno di ventiquattr’ore, giusto il tempo delle prove generali.

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