martedì 8 ottobre 2019
Gli astronomi svizzeri Mayor e Queloz sono stati premiati per le ricerche sui pianeti esterni al Sistema Solare. Insignito anche il cosmologo canadese Peebles, che captò l'eco del Big Bang
Nobel per la Fisica ai "cacciatori di mondi alieni"
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La fisica è difficile e per divulgare i suoi concetti e le sue scoperte si ricorre spesso ad argomenti che possano far presa sul grande pubblico, in genere molto spesso digiuno di queste cose. E così questo Nobel per la fisica del 2019 sicuramente passerà agli annali come il premio assegnato ai “cacciatori dei mondi alieni” Michel Mayor, 77 anni, e Didier Queloz, 53 anni.

Questi due astronomi svizzeri, infatti, dopo aver puntato i loro strumenti verso Pegaso, la grande costellazione del cielo settentrionale definita da un grande quadrato di stelle, annunciarono il 6 ottobre del 1995 di aver scoperto nel nostro sistema solare un pianeta dalla struttura paragonabile a quella di Giove che orbitava attorno a una stella assai simile al sole e distante circa cinquant’anni luce da noi.

Un’orbita completa avveniva in appena quattro giorni e la tecnica usata dai due astronomi, chiamata “spettroscopia Doppler” o anche “misurazione della velocità radiale”, dimostrava che certi cambiamenti della posizione e della velocità della stella potevano essere giustificati solamente ipotizzando la presenza di un oggetto piccolo orbitante, in questo caso un “esopianeta” (così, o anche “extrasolari”, vengono chiamati i pianeti al di fuori del sistema solare).

Il pianeta, chiamato inizialmente con la sigla “51 Pegasi b”, è oggi conosciuto come Bellerofonte o Didimium e all’annuncio della sua scoperta la gente pensò subito che lassù avrebbe potuto essere presente qualche alieno. Ben presto, però, questi “esopianeti” persero il loro fascino perché negli anni successivi ne vennero scoperti molti altri e oggi, essendo più di quattromila, non fanno più notizia. Ma la loro dimostrata esistenza è importante perché toglie al nostro sistema solare il carattere di unicità e induce riflessioni di tipo filosofico sulla nostra posizione nell’universo, riflessioni che richiamano le prime osservazioni di Galileo. Quando infatti il grande pisano scoprì i satelliti di Giove, la cultura dell’epoca fu obbligata suo malgrado ad ammettere che la terra non era l’unico centro dell’universo e che il nostro pianeta, e di conseguenza anche l’uomo, doveva rinunciare alla sua centralità. Dal cielo, dunque, veniva una lezione di umiltà.

I due astronomi svizzeri, però, si divideranno soltanto una metà del premio perché l’altra metà andrà al canadese James Peebles, 84 anni, per gli studi coi quali preannunciò l’esistenza della famosa “radiazione di fondo” che permea tutto l’universo e che, detto in termini molto semplici, è da considerare l’eco di quella grande esplosione, l’altrettanto famoso Big Bang, che circa 14 miliardi di anni fa dette origine al nostro universo. Un universo incredibilmente ancora sconosciuto.

Basti pensare che, proprio grazie agli studi di Peebles, il nostro universo sarebbe composto per il 95% dalla cosiddetta “materia ed energia oscura” delle quali sappiamo poco o nulla. Un universo, in ultima analisi, tutto da scoprire e che continua a mantenere il suo fascino. Ed è molto curioso che, per una singolare coincidenza, questo Nobel che richiama i grandi misteri del cosmo sia stato assegnato nell’anno in cui si è celebrato in tutto il mondo il bicentenario dell’Infinito di Giacomo Leopardi, il poeta che più di ogni altro ha fatto vibrare nei suoi versi i brividi e gli stupori dell’uomo quando “naufraga” nel grande mare dell’universo.

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