domenica 29 gennaio 2017
Al via della stagione parla il campione siciliano che quest’anno corre per il team del Bahrain: «La caduta di Rio brucia ancora ma punto al terzo Giro come Gimondi»
Lo "Squalo": Vincenzo Nibali, 32 anni, vittorioso allo scorso Giro d’Italia (Ansa/Luca Zennaro)

Lo "Squalo": Vincenzo Nibali, 32 anni, vittorioso allo scorso Giro d’Italia (Ansa/Luca Zennaro)

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Vincenzo Nibali viene dalla terra di Pirandello, ma la pensa come Edoardo De Filippo: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male», diceva il grande attore e commediografo napoletano. Quindi Vincenzo, alla vigilia di questa nuova vita sportiva, non tocca ferro ma si morde la lingua. «Nella mia testa ho tante belle sensazioni, buone motivazioni e propositi, però non amo fare proclami e dire ai quattro venti cosa desidero fare o ottenere. Io ce la metterò tutta per divertirmi e se mi divertirò io saranno in tanti a divertirsi con me». Sta bene Vincenzo e si vede, anche perché è tutto di rosso vestito. I nuovi colori del Bahrain Merida, il team che un principe del piccolo regno sul golfo Persico ha costruito intorno a lui, gli stanno a meraviglia. «Mi ci voleva questa nuova avventura - dice -: all’Astana ho trascorso anni fantastici, ho lasciato tanti amici, ma a questo punto della carriera mi serviva un progetto nuovo. È bello rimettersi in gioco», racconta il siculo dall’Argentina, dove oggi si conclude la sua prima corsa stagionale, il Tour San Juan.

Ha 32 anni, non è più un ragazzino, anche se a vederla sembra un bimbo che scopre sotto l’albero di dono di Natale più gradito: la bicicletta.

«Dice bene, questa nuova esperienza la sto vivendo proprio con questo spirito. Mi sento impaziente e curioso come un bimbo. Questa nuova avventura mi stimola e mi induce a fare sempre di più e sempre di meglio».

Facciamo un passo indietro: come è stato il suo inverno…

«Buono, molto sereno. Diciamo che a causa dell’infortunio alla spalla rimediato a Rio, ho riposato fin troppo. Però ne ho approfittato per stare con Emma e Rachele, i miei amori».

Adesso la prima corsa, in Argentina.

«Sono arrivato qui una settimana fa, per acclimatarmi, proseguire la mia preparazione. Dopo il Tour di San Juan (dal 24 al 29, ndr) la mia stagione dovrebbe proseguire con l’Abu Dhabi Tour (inserita nel circuito World Tour) dal 23 al 26 febbraio. Niente Strade Bianche, forse il Gp Larciano. Poi dall’8 al 14 marzo la Tirreno-Adriatico (vinta due volte, nel 2012 e nel 2013). Niente Sanremo. Ad aprile, allenamenti in altura a Tenerife per la rifinitura in chiave Giro. Niente Giro del Trentino (da quest’anno si chiamerà Tour of the Alps), né classiche delle Ardenne. Dal 18 al 23 aprile correrò invece il Giro di Croazia: sei tappe di cui almeno due molto impegnative. Al Giro d’Italia dovrò farmi trovare subito in palla, anche perché alla quarta tappa c’è già l’Etna che ci attende, e lì non si scherza».

Il Giro è il suo grande obiettivo di stagione?

«È una corsa che mi piace da pazzi e farò di tutto per essere all’altezza del mio ruolo e della mia storia».

Se vince il Giro per la terza volta raggiunge, come numero di Grandi Giri, un signore che risponde al nome di Felice Gimondi, che in carriera seppe vincere tre Giri, un Tour e una Vuelta…

«Lo so e mi piacerebbe davvero riuscire ad eguagliarlo, anche perché Gimondi è un atleta e una persona eccezionale. Ma è anche giusto ricordare che Felice in carriera ha saputo vincere di tutto e di più con quel Merckx tra le ruote».

Ma lei è nel pieno della maturità fisica e può ancora vincere molto.

«Vero anche questo, ma con le parole si fa ben poco. Occorre pedalare forte, molto forte».

La vittoria che più ama ricordare e rivedere?

«Il Giro di Lombardia: quel giorno ho fatto davvero i numeri. Mi sono piaciuto come poche altre volte. In discesa sono stato davvero un drago. Poi considero una grandissima giornata quella di Arenberg al Tour del 2014. Quel giorno a vincere fu Lars Boom, io arrivai terzo alle spalle di Fuglsang, ma io quella la considero come una vittoria. Sulle pietre della Roubaix sono andato davvero forte».

Lì in pratica ha vinto il Tour.

«No, questo no, ma ho certamente gettato le basi per la conquista finale della maglia gialla».

E c’è chi ancora dice che è stato fortunato…

«Può darsi, perché in una corsa di tre settimane la componente fortuna è determinante, ma ho perso per sfortuna anche tante altre corse. Una Vuelta, almeno un Lombardia, una medaglia olimpica: ci sta di avere qualche contrattempo».

Quanto le rode quella di Rio?

«Ci crede che mi scoccia di più essermi rotto la clavicola? Certo, se ci ripenso un po’ mi rode, ma lo ripeto, le cadute fanno parte del nostro mestiere».

Al Giro invece le è andata bene, con un finale d’autore.

«È stato un Giro complicato, difficile per mille e più motivi. Poi la svolta di Risoul, con la caduta di Steven Kruijswijk lungo la discesa del colle dell’Agnello. In quella circostanza io sono stato bravo ad essere lì, nel vivo della corsa, anche se io il Giro l’ho vinto a Sant’Anna di Vinadio, a Risoul l’ha perso invece Chavez, che aveva la possibilità di metterci tutti in un cantone».

Come immagina il prossimo Giro d’Italia?

«Duro, difficile e snervante come sempre. Però quest’anno le pressioni non saranno tutte e solo sulle mie spalle, saranno anche sulle spalle di Fabio (Aru) e non solo…

Quintana, Geraint Thomas, Mollema, Aru, Tejey Van Garderen, Pinot: tanti i probabili antagonisti.

«E credo che alla fine saranno anche di più. Ad esempio Ilnur Zakarin è un ragazzo che sta crescendo bene e non è assolutamente da sottovalutare. Ci sarà battaglia e con uno come Fabio c’è poco da scherzare. Lui non è uno che gioca sulla difensiva: se sta bene attacca. E quando decide di farlo fa maledettamente male. Insomma, come si dice: comunque vada sarà uno spettacolo».

Proprio non vuol dirmi quale sia il desiderio di questa nuova stagione che sta per partire?

«Spero di non farmi male, di stare bene e di divertirmi. Se queste componenti ci saranno i risultati non potranno mancare, però non le dico niente. Per i bilanci c’è tempo: ne riparliamo tra qualche mese. I desideri si custodiscono, le gioie si condividono, le delusioni si celano».

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