giovedì 3 novembre 2016
A colloquio con Roderick Strange che ha curato una raccolta delle lettere del Beato, anglicano passato al cattolicesimo Ne emerge un uomo del dialogo, scevro dagli eccessi teologici
Newman, l'ecumenismo pratico
COMMENTA E CONDIVIDI

Lo sentiamo vicino, nella sua appassionata ricerca di Dio, e lo scopriamo umano, nelle preoccupazioni della vita di tutti i giorni. Nella praticità, per esempio, con la quale considerava il costo economico di ogni progetto o nel bisogno di essere amato: dagli amici, che considerava indispensabili, ma anche dalla famiglia, che aveva paura di offendere, col suo passaggio alla Chiesa cattolica. Un John Henry Newman normalissimo quello che esce dal volume di lettere pubblicato dalla Oxford University Press e intitolato John Henry Newman. A portrait in letters, "John Henry Newman. Un ritratto in lettere". Davvero quotidiano. Quasi che le missive, una selezione di tutte le 20.000, raccolte in 32 volumi, praticamente impossibili da leggere nella loro integrità, fossero delle email che troviamo al mattino quando accendiamo il computer.


Curato da monsignor Roderick Strange, già cappellano dell’università di Oxford e rettore del Beda college di Roma, oggi professore di teologia all’università cattolica londinese di st.Mary’s, il libro, lungo 500 pagine, copre ogni periodo della vita del teologo e contiene le lettere indispensabili agli esperti come quelle sulla questione dell’infallibilità papale.

Che tipo di uomo era Newman?
«Un grande moderato che detestava gli estremismi. Equilibrato, vedeva tutte le sfumature di una situazione. Praticissimo. Questo è un lato sconosciuto del suo carattere per chi lo immagina immerso nei libri. Eppure non esiste suo scritto, con l’eccezione della Grammatica dell’assenso, che non sia stato pensato come risposta a un problema pratico. Difficoltà che il grande teologo aveva incontrato come insegnante all’università di Oxford o come parroco e fondatore degli oratori di Birmingham e Londra e dell’università cattolica di Dublino. Newman era precisissimo. Misurava le parole e lavorava duro senza diventare ossessivo. Amava la solitudine, ma anche gli amici che erano importantissimi per lui. Soffrì molto quando sua sorella Harriett lo allontanò dopo che divenne cattolico. Era molto esigente con se stesso e, di conseguenza, non la persona più facile con la quale convivere. Incapace di chiaccherare in modo superficiale aveva, però, un ottimo sense of humour che emerge da questa raccolta».

Che cosa ci dice di nuovo questo volume?
«Sentiamo Newman raccontarsi in prima persona senza la mediazione di altri. Penso che ciascuno di noi, leggendo questa corrispondenza, possa farsi una sua idea di Newman, immaginarlo vivo. A metà ottocento comunicare per scritto era un’operazione piuttosto veloce. Si poteva imbucare al mattino e ricevere una risposta a mezzogiorno e scrivere di nuovo al pomeriggio. La posta veniva consegnata tre o quattro volte al giorno. Non la rapidità delle email di oggi, ma, in ogni caso, una comunicazione frequente ed efficace».

C’è della teologia in questa selezione di lettere?
«Si vede il tragitto della personalità del grande teologo, nel 1830, dalla "Chiesa di Inghilterra" a quella cattolica. In una lettera Newman spiega a qualcuno che gli chiede se deve diventare cattolico che si tratta di una scelta personale che la persona in questione deve fare soltanto se è profondamente convinta che sia la cosa giusta. Quando poi un suo amico diventa cattolico e chiede a Newman se anche sua moglie deve fare la stessa scelta il teologo risponde di lasciarla libera e, alla fine, la donna resta nella chiesa anglicana».


E il momento del passaggio al cattolicesimo del grande teologo?
«Si vede da queste lettere che Newman è diventato cattolico malgrado se stesso. Una volta convintosi che è nella Chiesa cattolica che si trova la vera Chiesa di Cristo, Newman pensa di non avere alternativa perché sarebbe stato sbagliato morire da anglicano senza rispondere pienamente alla chiamata di Gesù. Ha raggiunto questa convinzione studiando i padri della Chiesa e, quindi, con un esercizio puramente intellettuale anche se ha poi pregato moltissimo prima di fare il grande passo. Di fatto Newman si è allontanato dai suoi amici, tagliato fuori dai suoi affetti più cari, senza poter fare diversamente perché morire da anglicano avrebbe voluto dire, per lui, morire senza Cristo».

E quali sono le lettere più ecumeniche di questa raccolta?
«Quelle degli anni tra il 1865 e il 1869, inviate all’amico anglicano Pusey, che riguardano la devozione alla Vergine Maria. Newman rimase molto vicino al suo circolo nella "Chiesa di Inghilterra" che gli fu molto grato per il calore con il quale aveva parlato di loro nella Apologia pro vita sua. Il grande teologo rimase sempre profondamente inglese, anche una volta passato a Roma, a differenza di Frederick Faber, un altro anglicano, diventato cattolico, che era superiore dell’Oratorio di san Filippo Neri fondato da Newman a Londra».


Insomma Newman era personalità davvero equilibrata, in contatto con la realtà del suo tempo, sempre in dialogo con amici e nemici.
«Sì. Il cardinale beatificato da Papa Benedetto ha coltivato, per tutta la sua vita, una via media. Proprio così vedeva la chiesa di Inghilterra, come una via di mezzo tra l’errore protestante e gli eccessi della chiesa di Roma. Si convinse, poi, che i punti deboli dell’anglicanesimo dipendevano dalle sue radici protestanti e, per questo motivo, diventò cattolico, ma continuando a cercare un sentiero di mezzo. Rifuggiva dagli errori del protestantesimo, ma anche dagli eccessi del cattolicesimo come la visione estrema dell’infallibilità del Papa e della devozione alla Vergine Maria. Newman aborriva il fanatismo e cercava il bene che, riteneva, venisse da Dio in qualunque religione si trovasse.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: