sabato 30 aprile 2016
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Un libro in un libro. Quando l’amore e la passione per le pagine di un testo investono gran parte della propria esistenza può nascere un idillio, un vero connubio tra ciò che si trova nelle parole e quello che si sperimenta nella vita comune. A molti di noi sarà capitato di creare un legame con un libro amato in gioventù o nell’età adulta. Ci sono libri che restano, che sono stati scritti per restare, per essere letti e riletti e riletti ancora. Piccole bibbie laiche che si fondono con la nostra vita e a volte addirittura la indirizzano, la guidano verso scelte che diversamente non avremmo fatto. Lasciando da parte i diamanti, forse si dovrebbe dire per alcune opere che un libro «è per sempre». Dovunque andrai e qualunque snodo vitale vivrai, quelle parole torneranno e tu le rileggerai e ne farai un credo personale. Entrerai a far parte di una schiera, una tribù che si riconosce nei dettami di un testo e cercherai ogni occasione buona per diffonderlo, quel credo, a dispetto di tutti quelli che non vorranno o non sapranno entrare in sintonia con la tua passione. Nadia Fusini è una traduttrice e una scrittrice, inoltre insegna letteratura inglese. Lei il marchio deve averlo ricevuto, impresso a caratteri cubitali, dalla lettura delle opere di William Shakespeare – o chi per lui, tenendo presente l’annosa diatriba sulla paternità delle opere dell’uomo di Stratford-upon-Avon. In particolare deve essere stata La tempesta a lasciarle addosso il segno più evidente. Ora, a 400 anni dalla morte del Bardo, la scrittrice restituisce parte del credito vantato sulla sua formazione dal drammaturgo inglese. Lo fa attraverso un libro difficile da definire un romanzo, in quanto è piuttosto un’ampia riflessione personale sul valore dell’ascolto di ciò che un’opera immortale può offrire alla vita di tutti. In Vivere nella tempesta (Einaudi) l’autrice offre una chiave di lettura intima e al tempo stesso universale della Tempesta di Shakespeare. Sentire, questa una delle parole chiave. Sentire un testo vuol dire accostare l’orecchio alle parole del Maestro e lasciarsi trascinare nel dibattersi del mare, nei sibili atroci di Calibano o nella magia oscura di Prospero. Sentire, ascoltare, e poi riversare dentro noi stessi. Anche perché, in fondo, non siamo forse tutti alla mercé di una tempesta senza fine che è la nostra esistenza? Nadia Fusini ci fa notare che Shakespeare utilizza il termine tempest e non il più familiare storm. Questo perché probabilmente il genio britannico ha voluto imprimere nell’idea di tempesta anche i concetti di tempo, di esistenza, vita, passioni, lotta tra la forza della natura e quella dell’essere umano. Del resto nell’opera c’è tutto, compresa l’innocenza e la bellezza di Miranda, la fanciulla che – tra naufragi, onde del mare, relitti e isole sperdute – mantiene intatto il suo desiderio di amore e di meraviglia per la vita. Forse Fusini ha a cuore il desiderio di rimarcare l’idea della vita come dono da conoscere, accertare e accettare con slancio. E il suo libro tenta questa deliberata campagna pro esistenza utilizzando protagonisti non solo della Tempesta, ma anche di altre opere scespiriane. perché esiste un sottile filo che lega le pagine di Otello, Macbeth, Amleto, Romeo e Giulietta, la stessa Tempesta e il resto della produzione scespiriana. Il grande Will ha sempre cercato di focalizzare la sua arte sulla natura umana e le sue migliaia di declinazioni. Le vicende storiche restano cornici, fattori contingenti intorno a cui ruotano le anime, le speranze, i dolori, il senso interiore… Nadia Fusini prende in considerazione anche i punti cardinali storici di cui probabilmente si è cibato Shakespeare. Eventi del passato con relitti, naufragi descritti su testi nautici, isole individuate negli oceani, navi scomparse tra i flutti ed equipaggi miracolosamente ritornati in patria. È meticolosa la ricostruzione dell’autrice. Nulla viene sottaciuto. Fin dall’incipit, dal valore delle parole, da quella battuta altamente scenica, «Dov’è il comandante?», The master: il padrone. Colui che, governando la nave, governa la vita degli uomini, i loro cuori pulsanti e i loro destini. La tempesta è per l’autrice la pietra angolare di un’intera opera imperitura e ogni pagina ha la dignità e la forza di un testo dotato di una personale sacralità teatrale. E annodati alla Tempesta ci sono tutti, proprio tutti, dal Titanic di James Cameron a The watchman di Bob Dylan, da Karen Blixen a Eliot, da Keats ad Anna Maria Ortese e via dicendo, in un mondo in frantumi a causa del mare in tempesta, salvato solo in parte dalla magia fattasi letteratura. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’anglista Nadia Fusini individua nel dramma di Shakespeare la pietra angolare non solo dell’opera del Bardo ma più in generale l’essenza perenne dell’umanità Un imprescindibile testo per chi è venuto dopo, compresi “Titanic” o Bob Dylan...
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