mercoledì 3 luglio 2013
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Sullo sperone di roccia, un cavallo bianco e una maschera nera. Ai piedi, le vallate del classico western americano, al fianco un indiano con un corvo impagliato sulla testa. Lone Ranger e Tonto (Armie Hammer e Johnny Depp) tornano da oggi sullo schermo nel kolossal diretto da Gore Verbinski e prodotto con Jerry Bruckheimer. Hanno lasciato i loro pirati ai Caraibi e sono arrivati nella Monument Valley per riconquistare un genere ridando vita a questi personaggi entrati ben ottant’anni fa nell’immaginario collettivo americano. Il Cavaliere solitario e l’immancabile compagno di avventure sono stati protagonisti assoluti alla radio (2.956 episodi dal 30 gennaio 1933 al 3 settembre 1954, una delle più longeve serie della storia) alla televisione, dal 1949 al 1957, e naturalmente nei fumetti, libri, romanzi illustrati e qualche tentativo, poco riuscito, al cinema. Vere icone dell’America di frontiera. «Certo l’ambientazione western è importante – precisa Verbinski – ma la mia idea era quella di girare prima di tutto una storia di amicizia tra due persone così diverse. Fin da piccolo ho adorato il personaggio di Don Quixote: mi sono domandato che effetto avrebbe fatto conoscerlo attraverso Sancho Panza. Praticamente con Tonto ho realizzato questo desiderio».Facile trovare in Depp l’interprete ideale per l’indiano. «Tutto è nato mentre giravamo la serie dei Pirati, ma la decisione l’abbiamo presa alla fine di Rango. Johnny mi ha messo in mano una fotografia dove si era vestito da Tonto con un uccello nero in testa. Mi ha chiesto se volevo farla diventare un film. Ho pensato a lui come il narratore, così all’inizio un Tonto ultracentenario, ormai relegato in un museo, incontra un ragazzino e comincia ad assecondare la sua immaginazione. Una porta di accesso magnifica per evocare il mondo di Lone Ranger». Era arrivato il momento di dare un volto al protagonista. «Scegliere Armie Hammer è stato facilissimo perché mi ricordava James Stewart nell’integerrimo senatore Stoddard di L’uomo che uccise Liberty Valance. Volevo che il mio Ranger avesse, come lui, un sistema di valori di riferimento, che si scontrasse con il mondo in cui vive, dove tutto può essere acquistato, compresa la giustizia».Verbinski conferma la sua passione per il genere western. «Ho cominciato ad amarlo guardando da piccolo tutti i film di Sergio Leone e Sam Peckinpah. Ero affascinato dagli sceriffi e dai banditi, dai cavalli e i treni in corsa, dai soldati in divisa e dagli indiani Comanche». Nel film tutto è stato ricostruito senza tradire gli archetipi di quel mondo e protagonista è anche la natura con i grandiosi scenari che si trovano in Arizona, New Mexico, Utah, Colorado e California. «Volevo un west il più possibile realistico, per questo abbiamo edificato le cittadine e costruito le tre locomotive del XIX secolo con i quindici vagoni, perché la storia si svolge durante la costruzione della mitica Ferrovia Transcontinentale. Nel mio film c’è vera polvere, vero calore, vero vento. E siamo andati a cercare veri stunt. Girare un western oggi è un’arte perduta».Oltre l’avventura fatta di inseguimenti mozzafiato, agguati e sparatorie, in Lone Ranger sono i rapporti umani ad avere una consistenza profonda. «L’uomo della legge, il Ranger, all’inizio entra in contrasto con l’uomo della natura, Tonto, ma capiscono che soltanto insieme potranno riportare pace nelle loro terre. In fondo sono due solitari scacciati dalle loro tribù che si devono mettere una maschera per salvare se stessi e ciò in cui credono: Lone Ranger nella legge e nel senso morale, Tonto nel rapporto di fedeltà col suo popolo. Entrambi si oppongo all’orrendo Cavendish, che rappresenta tutto quello contro cui i due lottano: la menzogna, la corruzione e la violenza».
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