venerdì 7 ottobre 2022
Gli ambienti e i neon dell'artista americano trasformano lo spettatore in performer. Insieme però i dispositivi spaziali come specchi asimmetrici moltiplicano e ribaltano la realtà
Un'installazione di Bruce Nauman all’HangarBicocca

Un'installazione di Bruce Nauman all’HangarBicocca - © 2022 Nauman / SIAE / Foto Osio

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Bruce Nauman (1941) è noto soprattutto per i suoi video, in cui si ritrae attraverso telecamere fisse mentre performa nel suo studio. Walk with Contrapposto, lavoro fondamentale del 1968 ha luogo all’interno in uno stretto corridoio. Da lì l’artista americano ha sviluppato una serie di opere di carattere spaziale, iniziate con Performance Corridor (1969), ambienti (im)praticabili in cui invita di fatto il visitatore a passare da spettatore a performer. Questa produzione, meno conosciuta ma fondamentale per capire l’opera gigantesca di Nauman perché consente un’esperienza dall’interno dei dispositivi concettuali, è al centro di “Neons Corridors Rooms” all’HangarBicocca. La mostra arriva a Milano (fino al 26 febbario) dopo le tappe alla Tate Modern di Londra, e allo Stedelijk Museum di Amsterdam, e raccoglie le diverse tipologie di corridoi e stanze, oltre a sei neon e cinque lavori video e sonori.

Abituati alla ricerca degli anni Sessanta sugli ambienti concentrata sui meccanismi percettivi e per lo più nel senso di una loro alterazione – una linea che si allunga fino a oggi con esiti non di rado simili alle attrazioni da luna park – verrebbe istintivo rubricare in tal senso anche questi lavori. Ma a Nauman interessa altro. Il problema non è lo spazio in sé e nemmeno la sua percezione, ma la sensibilità del corpo all’interno dello spazio, la soglia tra propriocezione, memoria, proiezione, dislocazione. Gli angusti corridoi di Nauman, talvolta enfatizzati da neon colorati, orchestrano azioni, costringono lo spettatore a muoversi all’interno dello spazio in solitaria secondo norme implicite, non diverse da quelle che Nauman impone a se stesso nelle sue performance. L’attraversamento di questi luoghi impone al corpo l’attivazione della coscienza di meccaniche e ritmi del proprio movimento. Il corpo diviene presente a se stesso. Il più concettuale degli artisti è anche il più fisico.

C’è davvero un costante “contrapposto”. In quel lavoro e poi nelle installazioni video da esso derivate negli anni 2015-2019 – al centro di un’altra mostra monumentale a Punta della Dogana a Venezia, visitabile fino al 27 novembre – l’artista si riprende mentre cammina sforzandosi di mantenere la posa chiastica della scultura classica. Il chiasmo è un equilibrio dinamico basato su una specularità asimmetrica.

Gli spazi, i corridoi e i dispositivi installativi al loro interno, ma anche i lavori basati su monitor in presa diretta, sono fondati sul chiasmo, anche dal punto di vista della forma dello spazio. Ma soprattutto in questa forma a X, gli estremi sono contigui ma separati da barriere: da un estremo non si vede direttamente l’altro estremo, ma un punto “monitora” il suo corrispettivo attraverso il video. Questo genera una triangolazione dello sguardo che non può mai chiudersi. Non è possibile contenere tutta l’opera in un solo punto di vista. Ce n’è sempre uno contrapposto, speculare e asimmetrico, capovolto. Come nella fisica quantistica, la “verità” di un dato fisico (qui il corpo e lo spazio) è indeterminabile se preso di per sé, ciò che conta è la relazione tra gli elementi. Siamo costretti a oscillare tra visioni sempre parziali. Il nostro corpo è sempre anche in un altrove, che non possiamo afferrare con i nostri sensi, ma che sappiamo esserci. Se altri lo vedono, non possono essere accanto a noi. Un fenomeno dislocatorio, stordente. È l’ubiquità del corpo, la mise en abyme del sogno.

Lo schermo è uno specchio che non dà accesso ad altri mondi ma rimbalza il qui e ora in un loop senza uscita, moltiplicandolo, facendolo esplodere. È quanto accade anche nei lavori in cui è protagonista l’elemento acustico (all’esterno dell’Hangar è installato Raw Materials) con le reiterazioni ecolaliche, e nelle variazioni combinatorie e i calembour dei neon basati sulle parole. La ripetizione che non fortifica ma dissolve, che non assevera ma porta al collasso le strutture del senso.

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