giovedì 20 maggio 2010
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Vendi-e-fuggi. È la nuova regola del commercio: un negozio per un po’, giusto il tempo di attirare clienti, svuotare gli scaffali e poi si sbaracca. L’effimero conquista anche il punto vendita: si chiamano Temporary Store – negozi temporanei – ma la categoria in realtà è più sfaccettata, tanto che gli esperti di marketing ormai sottilizzano in un tripudio di anglicismi: Pop Up Store, Shop Sharing, Temporary Showroom, Guerrilla Store...Tante parole per una stessa formula: l’attimo fuggente che diventa vetrina, il fascino della brevità trasformato in scontrino, l’illusione dell’irripetibilità che invita a metter mano al portafoglio. Insomma, un carpe diem adattato al mercato. Se ne può parlare male finché si vuole, ma non si può negare che sia il fenomeno commerciale di maggior successo degli ultimi tempi: nel 2008, quando si è registrato il boom, i Temporary Store milanesi – una cinquantina su un totale di 70 apparsi in Italia – hanno generato un volume d’affari di 7,5 milioni di euro, raddoppiati nel 2009. Non solo: il business è così in crescita che è nata perfino un’associazione di categoria, la Assotemporary, che riunisce e rappresenta tutte le nuove formule commerciali temporanee.Ma cosa sono i Temporary Store? Per i profani della materia, si tratta fondamentalmente di negozi usa e getta, che durano lo spazio di un’operazione commerciale: un mese, quindici giorni, anche una sola settimana o perfino lo spazio di un weekend. Sono ospitati in negozi veri e propri, oppure in container o spazi mobili, in genere arredati in modo originale. Servono a lanciare un prodotto o una collezione, a testare nuove linee, a entrare in contatto diretto con il pubblico, a riposizionarsi o a vendere articoli a edizione limitata. Qualche esempio, riportato in un libro fresco di stampa di Francesco Catalano e Francesca Zorzetto, Temporary Store – La Strategia dell’Effimero (Franco Angeli, pagine 160, euro 21): due anni fa Lagostina testò i suoi complementi per la tavola in uno spazio che visse appena 19 giorni; Nivea allungò a un mese (aprile-maggio 2007), con un Temporary Store che, sempre a Milano, servì per lanciare prodotti cosmetici nuovi e ringiovanire la sua immagine; l’esperienza rimane tra le più fortunate del settore, con i suoi 60 mila visitatori in 30 giorni. Sanson ambientò il suo spazio effimero milanese in una sorta di paradiso terrestre popolato di alberi tropicali, dove oltre a degustare i nuovi gelati i visitatori potevano ballare o ascoltare disco dance. Spostandoci a Manhattan, nel settore dell’alta moda fa scuola l’Icon Temporary Shop di Gucci (ottobre 2009) che servì a vendere 16 modelli da uomo e 2 da donna di una particolare linea di scarpe sportive, esperienza replicata in 11 città del mondo nell’arco di 6 mesi (tecnicamente si parla di Pop Up Store itinerante), ciascuna delle quale della durata di 2 o 3 settimane. L’idea del vendi-e-fuggi sta attaccando anche il mondo della ristorazione: negli Usa impazza la guerrilla cuisine, sorta di «ristoranti pirata» (tecnicamente Pop Up Restaurant) che aprono per pochi giorni o poche settimane in abitazioni private, raggiungibili solo con il passaparola. In Italia l’ultimo settore conquistato è l’editoria: alla fine del 2009 a Milano la casa editrice mantovana Corraini ha aperto (e chiuso) una libreria a tempo (alla fine, erano in vendita anche gli scaffali...) e Mursia porta i suoi libri su ruote, con quattro camion che trasportano ognuno un container di nove metri colmo di volumi.Ed è proprio nel "combinato disposto" di novità e imminente sparizione che risiede il fascino dei negozi effimeri, come sagacemente spiegano Francesco Catalano e Francesca Zorzetto nel loro saggio. I negozi effimeri sono come una diva che sparisce nel momento del suo massimo splendore (leggasi Marilyn) e dunque nell’immaginario collettivo sono sempre freschi e originali, non stancano e non invecchiano. Lo stilista Elio Fiorucci teorizza nella prefazione al libro dei due esperti, entrambi impegnati nel mondo del marketing e della comunicazione: «I Temporary Store fanno leva sul concetto del qui e ora, che probabilmente è lo stimolo principale che spinge anche all’acquisto dei saldi, con l’idea di fare l’affare unico e irripetibile. Ma fa leva anche sulla paura delle persone di essere escluse dall’evento, in un momento in cui questa parola è diventata la formula magica per definire un momento fugace di aggregazione e di riconoscimento di alcune élite o tribù metropolitane».Il saggio è un gradevole percorso nei segreti di questa formula commerciale, interessante per gli addetti ai lavori ma anche per chi si interessa di costume. Per esempio si scopre che il semplice fatto che un negozio abbia una scadenza (sì, proprio come lo yogurt...) spinge la gente ad acquistare di più: il Pop Up Store di Nivea in sei giorni di apertura ha venduto 8 mila prodotti, con un fatturato di 30 mila euro (per altro devoluti a una Fondazione benefica). Gli esperti di marketing lo sanno alla perfezione e sfruttano le debolezze dei consumatori: ecco perché nei prossimi mesi i Temporary Store dalla piazza di Milano invaderanno città medie e piccole, luoghi di vacanza e paesini, sezionati e studiati nei minimi particolari per capire dove posizionare le vetrine a tempo, su quali clienti contare in base al flusso di persone e alla tipologia di abitanti. E poi, quando gli scaffali sono vuoti, amici come prima.
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