mercoledì 12 settembre 2018
Dopo le due deludenti gare di Nations League contro Polonia e Portogallo le uniche sicurezze azzurre sembrano essere tra i pali: Donnarumma, Perin e gli altri eredi di una autentica tradizione
Nazionale: solo dai portieri qualche certezza?
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A ripescarci dall’abisso saranno i guanti di un portiere. Precipita l’Italia, si rialza Donnarumma. Nell’attesa di capire dove andremo a finire, siamo qui a cercare di parare il parabile, con una scuola - quella dei portieri - che nel momento più nero della nostra storia recente ritrova improvvisamente - e piuttosto a sorpresa - una solidità che sembrava persa. E lo fa grazie a Gigio Donnarumma migliore in campo nelle due deludenti sfide dell’Italia in versione Nations League contro Polonia e Portogallo. Occhio, però: quando il migliore in campo è il tuo portiere, significa che la squadra che lo circonda è impantanata nella mediocrità. In ogni caso: è da qui che si riparte, da porta a porta. Buon per Gigio, che era reduce da un delicato periodo di incertezze, tormenti vari e dubbi sul suo talento, nonostante abbia un’età - 19 anni - in cui l’errore è un lusso che ci si può permettere. Buona notizia per Mancini, che ha avuto garanzie per il dopo-Buffon. E sospiro di sollievo anche per la categoria, così bistrattata a livello internazionale dopo un’estate “Kariusizzata” da papere colossali e frittatone miste che salgono a furor di popolo le classifiche delle visualizzazioni su Youtube e rendono il portiere una figura circense, privandolo di quell’aura che il ruolo da sempre comporta.

Ma non di solo Donnarumma vive quest’Italietta incapace di darsi un tono. L’impalcatura della scuola italiana non ha ceduto, anzi, trova terreno fertile per crescere ancora. E insieme a Gigione - poco prima o poco dopo di lui - sono saliti alla ribalta o tornati di moda portieri che finalmente parano, respingono, escono a valanga sui piedi dell’avversario, si tuffano da un palo all’altro con ritrovata convinzione dando ragione a quanto ha scritto di loro il grande Jorge Valdano: «I portieri vivono all’interno dell’area. In quella prigione dalle sbarre bianche, adagiate e friabili, hanno però due mani di vantaggio sul resto della squadra… ». Dentro la prigione c’è finita l’Italia di Mancini, ostaggio di una Serie A povera di qualità; ma consola pensare che le mani che ci tireranno fuori sono quelle dei portieri. Mani sicure. Mani forti. Mani giovani. Donnarumma. Meret. Scuffet. Cragno. Perin, il più vecchio della batteria - si fa per dire - con i suoi 25 anni. C’è da stare tranquilli, abbiamo messo le mani sul futuro. La classe di quelli che fino a un attimo fa e- rano considerati sbarbatelli sta maturando. E accumula esperienza.

Donnarumma (l’intuizione di lanciarlo fu di Mihajlovic) è già al quarto campionato da titolare in Serie A: non esiste un coetaneo nel mondo che vanti il suo curriculum. Meret - dopo un’eccellente stagione alla Spal - ha fatto il salto di qualità (Napoli) e solo un infortunio l’ha tolto dai giochi al momento delle convocazioni azzurre. Scuffet - altro prodotto della scuola friulana - è il classico esempio di come il ruolo sia volubile e soggetto ad ogni alito di vento. La sua storia è il Battere e levare cantato dal Principe, De Gregori («È prendere e lasciare»), un continuo saliscendi che comincia con il debutto in A giovanissimo (a 17 anni, come Buffon), continua con un periodo delicato di passaggio (l’esclusione a Udine dopo il gran rifiuto all’Atletico Madrid, la B a Como) e finisce - anzi riparte - dalla maglia di titolare riconquistata quest’anno con l’Udinese. Cragno - da un paio di stagioni al Cagliari dopo la gavetta in Serie B - ha invece visto premiata la sua crescita con la convocazione di Mancini nel gruppone della Nations League. Contestata ma in definitiva oculata la scelta di Perin, che dopo anni di Genoa ha deciso di scommettere su se stesso, andando alla Juventus a fare il secondo di Szczesny e accettando - almeno inizialmente - il ruolo di comprimario al cospetto di ribalte comunque più prestigiose (vedi alla voce Champions). Se son guanti (buoni), fioriranno.

Ma ci sono le premesse che i ragazzi sopra citati si inseriscano nel solco della tradizione italiana, che per lungo tempo è stata un’eccellenza in ambito mondiale. Di grandissimi portieri ne abbiamo avuti, eccome. A partire da Combi, negli anni ’30 il top con Ceresoli e Olivieri, poi “Kamikaze” Ghezzi che nei ’50 contribuì a rendere il ruolo più spettacolare (il tutto alimentato anche dale la rivalità con Buffon nella preistoria televisiva del nostro calcio), ancora il plastico Sarti e il trapezista Albertosi. Fino a DinoMito Zoff, capace di prendersi più di un decennio della nostra storia azzurra (c’era lui in porta nella finale dell’Europeo del ’68 e ovviamente a Madrid nel trionfo mondiale del 1982). E poi Zenga e Tacconi, portieri acrobati che trasudavano personalità tra gli ’80 i ’90, il Pagliuca che difese la porta della Nazionale a Usa 94 e Francia 98, ultimo baluardo di una generazione d’oro (sono quelli gli anni di Marchegiani, Peruzzi, più avanti Toldo) che è stata costretta ad un certo punto - fine anni ’90 - a cedere porta e guanti per vent’anni al più grande portiere dei tempi moderni, Gigi Buffon. Era una scuola, la nostra, fatta di competenze specifiche, di allenatori preparati, di studi approfonditi che andavano a sostenere l’antica indole italica del tuffo, pratica sempre di moda quando le cose buttano male.

Le rivoluzioni tattiche - da Sacchi in poi - ci hanno detto che al portiere nel calcio moderno non bastava più saper parare. Doveva sapere fare altro. Giocare con i piedi, “leggere” le situazioni - qualsiasi cosa voglia dire - cominciare l’azione. Ora siamo andati avanti, tornando indietro. Se il portiere oggi para abbiamo buone ragioni per essere felici. Donnarumma: paro, dunque sono, anzi siamo e di sicuro c’è speranza che saremo (una Nazionale migliore di questa).

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