martedì 25 agosto 2009
Al via le riprese di «Venti sigarette» sulla strage di militari in Iraq. Il produttore Gianni Romoli: «Non è cronaca dell'accaduto ma la storia di un ragazzo che la guerra ha fatto crescere».
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Nasiriyah non c’è, nel titolo. Venti sigaret­te, e basta. Fumate nel volgere di una notte e di una mattinata. Una misura del tempo breve eppure lunghissima, come può es­sere un ricordo. O semplicemente un dettaglio del giorno che ti avrebbe cambiato per sempre. Nasiriyah, Iraq del sud, 12 novembre 2003, ora 10:40 locale, in un attentato perdono la vita 19 i­taliani: 12 carabinieri, 5 soldati e 2 civili. Tra i su­perstiti c’è Aureliano Amadei. Venti sigarette, e basta. Quelle che si ricorda di aver fumato da quando è arrivato in Iraq a quando c’è stata l’e­splosione. Venti sigarette, e basta, ora anche nel titolo. Senza aggiungere «a Nasiriyah» come nel­l’omonimo libro del 2005 che Amadei ha scritto con Francesco Trento in un’immersione auto­biografica nel cuore di tenebra dell’orrore di quel­la mattina. «Abbiamo deciso di togliere 'a Nasi­riyah', il nostro sarà un racconto che non vuole essere solo la fredda cronologia di quell’evento». Gianni Romoli è lo sceneggiatore e uno dei pro­duttori (assieme alla sodale Tilde Corsi nella R&C Produzioni, a Claudio Bonivento e a Rai Cinema) del film tratto da Venti sigarette a Nassiriya, di cui ieri sono cominciate le riprese. Proprio nel­la giornata che ha visto di nuovo i militari italia­ni oggetto di attentati, stavolta in Afghanistan. Sette settimane di lavoro: cinque a Roma e a Fiu­micino, dove verrà ricostruita la caserma italia­na, e due in Marocco, per gli esterni del deserto. Prima di Romoli alla sceneggiatura hanno lavo­rato il co-autore del libro Francesco Trento e Vol­fango De Biasi. La regia è dello stesso Amadei. «Abbiamo pensato subito a lui. È sicuramente la vera forza del film. Raccontare la storia che si è vissuta. In un certo senso è la prima volta che il regista è anche il protagonista di un episodio sto­rico e mediatico così forte». Aureliano Amadei è l’unico civile sopravvissuto alla strage. Era a Na­siriyah come aiuto di Stefano Rolla, il regista, morto nell’esplosione, che avrebbe dovuto ef­fettuare le riprese per un documentario sulla missione italiana in Iraq. Nove operazioni, una gamba che fa male, il passo claudicante, gli at­tacchi di panico, la sordità a un orecchio: Ama­dei ha cercato di rinascere a poco a poco. Un pas­sato di studi di recitazione e il salto – poi – nella regia. Ha girato dei corti e alcuni documentari per La Storia siamo noi di Gianni Minoli. Oggi, a 33 anni, ha davanti a sé quello che indietro è diffi­cile lasciare. Amadei ha il suo incubo tra le ma­ni e lo rivivrà per raccontarlo nella sua prima o­pera per il cinema. «Il film – racconta Romoli – non è la cronaca oggettiva di cosa è successo a Nasiriyah. Ma è una visione in soggettiva di chi si è trovato suo malgrado protagonista. È la sto­ria di un ragazzo, precario nel lavoro, con un’i- deologia fortemente antimilitarista che si butta in un viaggio al seguito di un regista. In Iraq ab­bandona i propri pregiudizi perché scopre l’u­manità dei soldati, delle persone che ha intorno. Ma non avrà abbastanza tempo per conoscer­le…». Nel film Aureliano Amadei sarà Vinicio Marchioni ('Il Freddo' nella serie Sky di Ro­manzo Criminale), scelto perché «una faccia molto famosa non avrebbe garantito l’identifi­cazione nella vicenda», mentre Carolina Cre­scentini è Claudia, la ragazza che starà vicino ad Aureliano durante tutta la degenza. Alle fine di­venterà la madre di sua figlia. «Venti sigarette è soprattutto questo: la crescita di un ragazzo che diventa uomo, poi padre, matura e prende con­sapevolezza di quali siano le proprie responsa­bilità. Vivendo la guerra ha capito che noi non sia­mo solo vittime, ma anche responsabili di quel­lo che succede nel mondo. La sua è una piccola storia dentro la Storia con la ’s’ maiuscola. La Sto­ria di cui la tv ci bombarda lasciandoci indiffe­renti, lui l’ha vissuta da dentro». A un passo dal­la morte. C’è un prima, lui a Roma tra i mille lavoretti, do­ve i toni sono anche da commedia. C’è un men­tre, Nasiriyah, la tragedia improvvisa, e poi c’è un dopo, la degenza nell’ospedale militare ame­ricano e al Celio. Non sarà possibile, assicura an­cora Romoli, un paragone con Nasiriyah , la fic­tion di Michele Soavi con Raoul Bova: «Sono due cose completamente diverse. Quella era un’o­pera agiografica, celebrativa. La nostra è anti­retorica. È un film che cerca la sua verità, che è la verità di una persona. Però lo scenografo sarà lo stesso, Massimo Santomarco. Aveva una do­cumentazione sterminata».
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