giovedì 7 aprile 2016
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Non è facile aggiungere magia a una città magica (e tremenda) come Napoli. Ma ci sono riusciti. La Fondazione del Banco di Napoli ha da poco inaugurato il suo Museo dell’archivio storico. “Il CartaStorie” è stato chiamata questa scelta da trecentotrenta stanze di archivio di carte e documenti bancarie. Voci che escono da grandi libri di cambiali, video meravigliosi che appaiono su vecchi tavoli, grafia da interpretare, la firma di Michelangelo Merisi da Caravaggio e di mille mille e mille sconosciuti, e poi là su una finestra la storia del principe di Sansevero collezionista e amante della bellezza, inventore della cappella del Cristo velato, statua che costò cinquecento ducati. Di ’opera pagata a Caravaggio invece si sono perse le tracce. Raccolte di pandette che sembrano istallazioni d’arte contemporanea, storie e nomi sussurrati da cosiddetti “libri maggiori”, immagini di mestieri antichi, luci che come segno del tempo danno vita nuova a oggetti remoti: in questo modo l’archivio bancario più grande e antico del mondo ha preso vita. E ora racconta le sue storie. Vi compaiono personalità notissime – dell’arte, della politica, della economia: da Velázquez a Verdi, dalle vicende legate a San Gennaro a quelle dell’omicidio passionale di Maria D’Avalos per mano del grande musicista Gesualdo da Venosa. Ma anche una miriade di uomini e donne ignoti, nel farsi della storia che è sempre – come sapeva Manzoni che qui si sarebbe esaltato – storia dei “signori” ma anche della povera gente. E poi le vicende della peste, della Repubblica Napoletana. Da qualche parte si troverà pure segno del passaggio di Giacomo Leopardi. Una scoperta per gli stessi napoletani che, si sa, sono pur molto attaccati alla loro città. Una operazione di grande intelligenza, gusto e valore culturale, che il ministro Franceschini visita oggi. La Fondazione, presieduta da Daniele Marrama, ha scelto una strada diversa da quella intrapresa da altre fondazioni bancarie che hanno finalità sociale e culturale. Ha deciso di non costruire un nuovo museo (o spesso mausoleo) ma di ridare vita al suo impressionante tesoro, sfida tanto più ardua trattandosi di carte, di documenti, di libri di “aridi” conteggi. Ma la sfida è vinta: dando voce al più grande archivio bancario del mondo si permette un viaggio avventuroso e sorprendente e di mettere a fuoco diverse questioni in vari campi, dalla economia alla storia della cultura, riuscendo nel difficile intento di aggiungere magia a una città magica. Il Banco di Napoli sorse dalla fusione di alcuni banchi di pietà di origine antichissima, sorretti dalle forze migliori della società che si occupavano di proteggere le ragazze madri abbandonate, i poveri usciti da galera, i caduti in disgrazia e altro. La visita all’archivio, animato e illustrato da un progetto firmato da Stefano Gargiulo (studio Kaos), offre uno sguardo non solo sulla storia ma anche una forte provocazione all’attualità. La natura sussidiaria della nascita della Banca, per fusioni di banchi di pietà e di sostegno sociale, porta a una conclusione di portata storica. La moneta fiduciaria, la cambiale, l’assegno, ecc. non nacquero come comunemente si crede per motivi commerciali legati alla espansione delle banche toscane e ai negozi internazionali degli inglesi ma per motivi legati alle opere di carità e di sostegno umanitario. E tutto ciò avvenne in Italia, come sottolineano le ricerche del curatore dell’archivio Eduardo Nappi, nel cuore di una società che cristianamente si faceva carico con inventiva e generosità dei propri bisogni, specie di quelli dei più poveri. Il venir meno di tale società viva in favore di una mentalità assistenzialistica statale è indicato da Marrama (e dall’Archivio intero, dalle sue storie) come gravissimo rischio attuale. Il venir meno della attitudine e della possibilità che la società anche attraverso i “banchi” si organizzino per rispondere ai bisogni della popolazione, crea un vuoto che lo Stato non può, non riesce e non deve coprire. Il grande poeta T.S. Eliot diceva che la tradizione non la si riceve e basta, occorre ridarle vita. Qui lo hanno fatto egregiamente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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