giovedì 11 novembre 2021
Al Tertio Millennio Film Fest di Roma «The sleeping negro» del 41enne regista afroamericano: «Il capitalismo e la supremazia dei bianchi continuano ad uccidere le persone»
Una scena di The Sleeping Negro, protagonista e regista Sninner Myers

Una scena di The Sleeping Negro, protagonista e regista Sninner Myers

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«Non ho una vera identità. Sono visto come una scimmia, un mostro, e sempre visto come una minaccia ». Non le manda a dire il regista, sceneggiatore, produttore e attore afroamericano Skinner Myers, 41 anni, sin dall’incipit del suo film The sleeping negro (il negro addormentato). Il pluripremiato artista, fra i più vivaci rappresentanti della scena undergroud del cinema afroamericano, ha visto debuttare l’altra sera in anteprima mondiale sul grande schermo il suo primo lungometraggio al Tertio Millennio Film Festival, in corso al cinema Doria di Roma sino al 13 novembre (uscirà nelle sale americane il 13 dicembre). La XXV edizione del festival cinematografico del dialogo interreligioso, organizzato dall’Ente dello spettacolo (con il patrocinio del Pontificio consiglio della cultura e del Dicastero per le comunicazioni dell Santa Sede), ha così inaugurato con il film di Myers una settimana di grandi film internazionali, di cui molti in anteprima e con incontri aperti al pubblico, legati dal sottotitolo “Prendersi cura Quando il cinema guarda ma non passa”. Oggi, ad esempio, è il turno di due film intensi e significativi, il romeno Miracol di Bogdan George Apetri e l’israelo-palestinese Abu Omardi Shany Verchick.

E non passa il senso di disagio e di profonda autocritica che lascia negli spettatori alla fine della visione il film di Myers che, con un linguaggio fresco e innovativo, che alterna realismo a toni onirici e surreali, ci guida all’interno dei pensieri di un giovane afroamericano di oggi. «Il tentativo è quello di fare sì che ogni spettatore possa immedesimarsi realmente in come si sente un uomo di colore nell’America di oggi, nella rabbia repressa che anche io ho provato e provo a causa del sistema di privilegio bianco in cui viviamo negli Stati Uniti – racconta Myers – . Ma io sono sposato, ho due bambini piccoli e non voglio fare rivoluzioni violente. Bensì cerco di affrontare quella rabbia attraverso il lavoro creativo, che sia la mia musica, la recitazione, al fotografia e il cinema ». Con intelligenza e senza rivendicazioni barricadere, bensì attraverso un flusso di autocoscienza e un serrato confronto con i comprimari del film, Myers ci spiega con lucidità cosa sta alla base delle tensioni razziali negli States e del movimento del Black lives matter. Cercando anche di risvegliare il “negro addormentato” di cui al titolo, ovvero la stessa comunità afroamericana affinché, dice, «abbia uno sguardo lucido sulla realtà che la circonda, e non si adagi in una idea di falsa libertà». Il protagonista del film, infatti, si “sveglia” da quel sogno americano che credeva raggiungibile per tutti senza distinzioni. Vediamo infatti un aitante giovane uomo apparentemente realizzato: ha una bella casa a Los Angeles, un lavoro ben remunerato, una fidanzata bianca e ricca che lo vuole sposare. Apparentemente, dicevamo. Perché nonostante anni di studio e di master pagati a caro prezzo con soldi guadagnati con fatica, il lavoro gli è arrivato solo dopo una trentina di colloqui e grazie alla parentela della fidanzata col suo capo. Il quale peraltro lo usa per affidargli il lavoro sporco, in particolare effettuare una frode per effettuare uno sfratto, perdipiù ai danni della comunità nera. Comunità che talvolta si fa 'raggirare' dal sistema, come l’amico afroamericano che è diventato cristiano oltranzista e vota Trump, mentre anche la fidanzata liberale e progressista, in realtà non riesce a comprenderlo affatto, rivelando un razzismo strisciante.

«Negli States sta avanzando un nazionalismo cristiano che è inquietante, mentre nella comunità nera a volte il cristianesimo è vissuto come rassegnazione consolatoria. Ma questi non sono i messaggi profondi di Gesù» aggiunge il regista. Il film comunque è quasi un lavoro autobiografico. «I personaggi rappresentano tutti amici, familiari e anche pensieri che io stesso ho avuto. Mio padre era un predicatore e musicista, mia madre una pittrice – spiega Myers che ha insegnato cinema anche alla Loyola University di Los Angeles – . Sono cresciuto con l’idea che lavorando duro si poteva avere successo nella vita, era un po’ un il sogno americano. Ma poi quando sono arrivato alle superiori mio padre ha perso la casa a causa della crisi dei mutui Subprime nel 2006 e quindi questa illusione per me è svanita. Queste dinamiche negli States fanno parte del substrato culturale ed è difficile che le cose cambino a breve. Per cambiare le cose le proteste non funzionano, il voto non funziona, ma potrà succedere qualcosa solo con l’intervento Dio». Ed anche se qualche personalità di colore riesce ad avere successo, questo non significa che ne benefici tutta la comunità. «Perché il capitalismo e la supremazia dei bianchi continuano purtroppo ad uccidere persone – aggiunge pessimista il regista – . L’America è stata costruita sulla schiavitù e sui genocidi. Un Pese che è nato dalla violenza, può cambiare solamente se si interrompe questa violenza, ma nessuno delle oligarchie che la governano vorrà farlo. Nel nostro Paese non si può parlare neanche apertamente della nostra storia, e se non si può parlare del passato non si può nemmeno costruire un futuro che non sia basato sulle menzogne».

Myers non risparmia le critiche anche al mondo del cinema: «C’è una Hollywood di colore che non amo. Sto studiando per trovare uno stile alternativo per raccontare la comunità afroamericana che si rifà a una corrente di registi ribelli degli anni 60 che poi è stata esclusa da Hollyood, non solo dalla classe bianca ma anche dalla classe alta del cinema nero, perché rompeva gli schemi del sistema. Ad esempio Spike Lee. I primi tre film erano straordinari, poi ha passato più tempo da ricco che da povero e questo ha influenzato il suo cinema. I soldi lo hanno reso un po’ confuso dal punto di vista politico». Myers continua però imperterrito sulla sua strada. Il prossimo progetto, il film Hangers never die, vuole coinvolgere l’attore Danny Glover: «Parla di una coppia di settantenni di colore che hanno vissuto il sogno americano che sembrava realizzabile, ma che nella seconda parte della loro vita lo vedono sfumare».

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