domenica 8 maggio 2016
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Una guerra locale, lontano dall’Europa, oggi appare, più della successiva guerra di Spagna, l’innesco del secondo conflitto mondiale. Il Gioco degli Imperi (Ed. Dante Alighieri, pp. 199, euro 19,50), è l’ultima fatica del ripensamento revisionistico delle relazioni internazionali del fascismo a cui da anni si dedica Eugenio Di Rienzo. A temere, già alla fine del ’35, che quella guerra d’Etiopia potesse provocare una guerra mondiale era stato: il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt. Meno lungimiranti gli altri leader europei la cui aggressiva tradizione colonialista (manifestatasi in Italia con Crispi, senza che poi ci fosse il superamento dell’angoscia collettiva provocata dalla sconfitta di Adua nel 1896), consentiva illusoriamente di confinare quelle guerre solo ai teatri d’operazione extraeuropei. Ma con l’Impero d’Etiopia membro della Società delle Nazioni, 'vendicare' appunto Adua e far 'risorgere' i relativi eroi (secondo una delle canzoni più popolari degli anni ruggenti), era un problema internazionale di non poco conto. Anche se le 'inique sanzioni' votate dalla Sdn l’11 ottobre ’35, pochi giorni dopo l’inizio delle operazioni italiane, avrebbero visto un fronte diplomatico dividersi e giocare su più piani, secondo strategie ricostruite da Di Rienzo con attenzione non solo alla geopolitica, ma anche agli scambi economici tra gli Stati, all’incidenza della politica interna su quella estera (in particolare negli Usa, dove le minoranze cattoliche italiana e irlandese non si potevano trascurare senza conseguenze elettorali), ecc. Insomma la ricomposizione di un mosaico con tessere reperite anche lontano, dal Giappone all’Urss, protagonisti non marginali della rete internazionale di interessi con cui l’Italia di Mussolini dovette confrontarsi. Non senza sorprese: all’atteggiamento poco amichevole verso l’Italia della Germania hitleriana, protesa a un accordo antibolscevico con l’Inghilterra conservatrice, faceva riscontro la benevola disposizione sovietica (Urss e Italia fin dal ’33 avevano stipulato accordi commerciali di notevole rilievo). Va aggiunta la spinta del mondo arabo a favore dell’impresa italiana, vista come portatrice di libertà religiosa per l’Islam in un’Etiopia centro chiuso di un’antica, originaria tradizione cristiana. Le vicende internazionali, seguite tramite fonti diplomatiche a vasto raggio, offrono un concatenato seguito di quell’impresa vittoriosa (uno dei punti di maggior consenso sociale raggiunto da Mussolini) che mostra la sua pericolosità. In particolare col livore di Eden, alla guida del britannico Foreign Office, giunto a preferire Hitler, per visioni di politica estera e lealtà, al «malfattore » Mussolini; il 'nemico' del resto, sembrava comune: Urss e Italia. L’Italia, da parte sua, per la necessità del riconoscimento internazionale del nuovo Impero, svendeva le proprie strategiche posizioni di presenza politico-culturale in tutto il Medio Oriente dove il mondo arabo era pronto a una sollevazione anti inglese. Eppure, ricorda Di Rienzo, non per questo, la politica estera italiana guidata da Ciano ebbe allora un corso obbligato verso la Germania hitleriana; tutt’altro. A fine gennaio ’39, quando giunsero a Roma, a colloquio con Mussolini, Chamberlain e il nuovo segretario agli Esteri, lord Halifax (successo a Eden dimessosi per protesta proprio contro la politica filo-italiana di Chamberlain), tutti gli scenari internazionali di alleanze erano ancora possibili. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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