martedì 1 dicembre 2015
​Sempre più numerose le aziende con aree espositive in cui raccontano la loro storia: parla lo studioso  Domenico Liggeri che ne ha censite più di 150 da Nord a Sud.
COMMENTA E CONDIVIDI
 C'è sempre un po’ di scetticismo, in particolare del mondo umanistico, quando l’impresa fa cultura. Soprattutto quando la fa a partire da se stessa, dalla propria storia. L’impresa narrata e narrante. Eppure l’industria che si racconta è uno dei fenomeni più interessanti e innovativi di comunicazione e di cultura. Come? Con i musei d’impresa, «musei a pieno titolo e non certo un capriccio da upper class», puntualizza subito Domenico Liggeri, docente di Metodologia dei musei d’impresa all’Università Iulm di Milano, che all’argomento ha dedicato un corposo volume, La comunicazione di musei e archivi d’impresa (Lubrina Editore, pp. 340, euro 18).  Ma cos’è un museo d’impresa? «Dipende dall’approccio con cui si guardano – spiega Liggeri –. Se si osservano dal punto di vista dell’approdo, alcuni musei potrebbero non definirsi tali. Prendiamo la Fondazione Prada, che ha realizzato un importante polo museale di arte contemporanea a Milano. Succede lo stesso per molti musei che sono frutto dell’azione collezionistica dell’imprenditore che li fonda e non hanno coerenza con gli oggetti e i prodotti dell’azienda e spesso non vogliono neanche che compaia il proprio brand. Se si va però alla sorgente ci troviamo di fronte a una struttura museale che ha una relazione inestricabile con l’impresa. E questo basta perché sia un museo d’impresa. Poi ogni impresa decide cosa e come comunicare: se raccontare la propria storia, quella del settore di riferimento, della comunità. O semplicemente farsi promotore di qualcosa, sposare un progetto. C’è persino il caso di musei che espongono materiali appartenenti a un’impresa, ma che non appartengono all’impresa. È il caso del Museo del Cappello Borsalino che appartiene al Comune di Alessandria, che l’ha fortemente voluto e che rappresenta un esempio del forte legame fra l’azienda e il territorio, che riconosce quel marchio, quei prodotti come suoi». Gli esempi sono diversi e disparati: si può passare dal racconto del mito italiano della mobilità a due ruote di Vespa nella sede storica di Piaggio a Pontedera, in Toscana, alla narrazione della cultura del vino nel Museo delle cantine Lungarotti a Torgiano, in Umbria, e dei distillati al Museo Poli della Grappa a Bassano; dall’emozione che trasmette il Museo del Cavallo Giocattolo di Artsana nel Chicco Village di Grandate (Como) che ci fa tornare tutti bambini, al neonato museo di Molteni, a Giussano, nella Brianza capitale del design e del legno-arredo, per celebrare gli ottant’anni della fondazione dell’azienda. «Quello che si vede e si legge in questi spazi è – continua Liggeri – un racconto pulito e onesto. Qui le imprese non vogliono vendere niente. Vogliono raccontare una storia, farlo nel modo più caldo e innovativo. Un bellissimo esempio di storytelling ante litteram: non esiste un museo d’impresa che non parli in prima persona, che non si metta a nudo e non cerchi di scaldare il cuore di chi lo visita. E fanno quello che i tradizionali musei ancora spesso trascurano: far vivere un’esperienza. Prendiamo quello di Martini& Rossi: qui c’è un mix fra l’'archeologia' enologica e la narrazione della storia dell’impresa, del brand, fino al coinvolgimento dei visitatori che producono un vermut che poi si portano a casa». Contarli non è operazione facile. Liggeri ne ha censiti più di 150, ma sono molti di più. «Rispecchiano la geografia dell’Italia industriale: tantissimi al Nord, un bel numero al centro e pochi coraggiosi casi al Sud. Nel Mezzogiorno, una interessante testimonianza arriva dalla famiglia Amarelli, che a Rossano, in provincia di Cosenza, racconta la propria storia, ma anche quella della liquirizia, in un legame antico col territorio che si rinnova in chiave moderna. Andare a vedere il museo e la fabbrica, vale il viaggio ». Nei musei d’impresa avviene insomma una sorta di «miracolo», dice Liggeri: «La pacificazione del rapporto fra l’azienda che fa profitto e l’utente potenziale consumatore. Il conflitto più grande nella nostra società che porta, noi consumatori, a difenderci dalla pubblicità selvaggia, a inserire filtri nei nostri telefonini… In questi luoghi l’impresa invita invece il consumatore a conoscere il senso del proprio lavoro e come nascono i prodotti con cui spesso ci identifichiamo e che consideriamo dei veri cult della nostra vita. Dalla Nutella alla Ferrari, chi non è sensibile all’argomento? Così dal museo di Maranello ogni anno passano 300 mila persone». I problemi non mancano, ovviamente. Perché accanto a esempi più illuminati che propongono percorsi interattivi e altamente tecnologici, facendo scuola, ce ne sono altri che devono superare le paure e osare. Soprattutto sul fronte della comunicazione. «A cominciare dalla cosa oggi più elementare: siti internet e social network. Si fa fatica a creare un sito ad hoc dello spazio museale, si preferisce ancora inglobarlo in quello aziendale – spiega Liggeri – . Serve ancora molto lavoro di informazione e di sensibilizzazione e uno sforzo per garantire una continuità di apertura, avere un servizio e del personale dedicato e competente. La maggior parte sono gratuiti, e questo non aiuta certo a sollecitare ulteriori investimenti. Per cui il museo, per un’azienda, è sempre e solo un costo in bilancio». Una spinta alla diffusione e a fare rete l’ha data Assolombarda facendosi promotrice, in Confindustria, nel 2001 di Museimpresa, l’associazione italiana degli Archivi e musei d’impresa per creare, attraverso queste esperienze, una panoramica della storia produttiva, culturale e progettuale del nostro Paese, con i pezzi forte del made in Italy: design, food, motori, moda. «Un modo per fare sistema e valorizzare questa forma di comunicazione aziendale che rappresenta uno strumento di promozione culturale e una interessante occasione di turismo industriale. Che – se ne facciano una ragione i 'puristi' – è a tutti gli effetti cultura».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: